Questo libro annichilisce qualunque altra forma di stile narrativo…
Il fantasy. Nato a inizio secolo e raggiunta la sua forma prototipale con Tolkien, è stato nella maggior parte dei casi meritatamente snobbato dalle alte sfere della letteratura, per essere un genere dozzinale e povero di qualsivoglia contenuto.
Proprio per questa ragione ha raggiunto negli ultimi anni un successo senza pari.
Registi, sceneggiatori, fumettisti, scrittori, hanno tutti provato espedienti e contaminazioni di ogni genere per accaparrarsi un briciolo di notorietà. Si sono tutti buttati nel mucchio, hanno fatto soldi a palate e mai regalato qualcosa di seppur minimamente degno della solite alte sfere; non avevano capito che l’unico modo di valorizzare questo genere era semplicemente quello di trasporlo con della vera personalità…
E questo fa del romanzo di Goldman un solenne pezzo da novanta della narrativa di genere.
La struttura a due livelli narrativi e mezzo è impressionante. Se del livello fiabesco parleremo a seguire, a stupire è il livello fanta-biografico, che mischia senza distinzione eventi reali della vita dell’autore con avventure e considerazioni accademiche di pura ma credibilissima finzione, fino a sfociare nell’effetto diario, in cui Goldman si rivolge al lettore in prima persona.
A cosa servono le regole quando l’obiettivo è la quintessenza dell’intrattenimento emozionale, in fondo?
La caratterizzazione dei personaggi e dei temi trattati è così elementare da essere impeccabile: l’eroe, l’eroina, l’antagonista, il grande amore, l’avventura, i combattimenti e quant’altro non può mancare nella più tradizionale delle fiabe. Ma ogni elemento di questa lista è sviscerato e trasmesso al lettore nel modo più umano, romantico, schietto e sincero che sia possibile per un romanzo.
Quello che manca è unicamente un po’ di intreccio: i colpi di scena sono presenti a profusione, ma la trama scorre in maniera esattamente lineare. Poichè è tutto sulle spalle di grandi personaggi e grandi sentimenti, al volgere della vicenda si accusa la mancanza di ellissi narrative, di parallelismi e di una qualsivoglia frammentazione degli eventi su più piani temporali, tutti strumenti atti a ravvivare anche il lato più razionale del lettore.
Infine, la qualità della prosa non teme letteralmente rivali. L’uso imperante di contrasti o ripetizioni rende la lettura schietta e quantomeno avvicente, le chiusure ad effetto sono gestite con agghiacciante decisione e freddezza. Le descrizioni degli eventi, semplici e dirette, trascendono l’uso della retorica: colpiscono, funzionano, sono efficaci. Tutto questo si può riassumere nell’idea di “fare cinema verbale”.
Per far capire cosa intendo, riporto a seguire i miei passaggi preferiti. Sono spoiler ovviamente, quindi rovinano pesantemente la lettura del romanzo. Ma i miei commenti scritti a matita trasmettono meglio di qualunque recensione il mio legame con questo testo…
Questo articolo è stato pubblicato il domenica, 17 luglio 2016 alle 2:36 PM e classificato in Cinema. È possibile seguire tutte le repliche a questo articolo tramite il feed RSS 2.0.
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