Ho voluto provarla praticamente da subito, sia per capire meglio il mondo a me sconosciuto del Supermotard, sia per quantificare di persona le meraviglie promesse dalla sua tanto sofisticata meccanica (ed elettronica).
“Ok, basta rimandare”. Così il desiderio ha avuto la meglio ed è iniziato tutto.
Sono stato sulla Bolognese ed arrivato fino a Cercina con la Dorsoduro.
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Cercherò di trattenere un uso sfrenato degli aggettivi al massimo grado ma non sarà semplice: se si intende la guida come la intendo io, cioè non dal banale punto di vista dell’ “andare forte”, ma da quello di saper godere di ogni centimetro di asfalto percorso a qualunque velocità, la Dorsoduro è la moto perfetta, manifesta concretizzazione della quintessenza del divertimento alla guida.
Ma partiamo dall’inizio, seguendo la recensione della XT660X.
La posizione in sella continua a destare sconcerto in chi scende da una sportiva, ma sull’Aprilia può dirsi addirittura confortevole. I manubri sono ancora larghissimi (più della Yamaha), ma sono anche leggermente meno protesi in avanti, quindi la postura è relativamente naturale. La seduta non solo è avanzata, ma quasi del tutto sul tappo di rifornimento, a pochi cm dall’asse di sterzo. Eppure, la scarsa curvatura verso l’alto del serbatoio mi permetteva di toccare terra con entrambi i piedi (sulla mia RX125 arrivavo a terra con una sola punta per volta). Altra grande sorpresa i fianchetti, che sono realmente strettissimi.
Se con la XT sembra di tenere un toro per le corna, con la Dorsoduro sembra di tenere un mammuth per le zanne, pur con la piacevole sensazione di godere di una sorta di controllo generale.
Confort a parte, la favorevole posizione in sella e l’ottimale conformazione della stessa hanno l’enorme pregio di garantire un’ottima mobilità al pilota mentre questi si trova impegnato alla guida. Ciò comporta la possibilità di assecondare meglio le curve, sia con la piega che con il corpo di traverso. Sarà forse per questo, ma la Dorsoduro annulla lo spiacevole difetto che avevo riscontrato con la Xt660: il sottosterzo.
La SMV 750, non solo mantiene un’ottima stabilità sul dritto, sia che si vada forte, sia che si vada piano, ma garantisce anche un’eccellente agilità nelle curve di qualunque raggio a qualunque andatura: dove la XT va in blocco a causa dell’aumentare della velocità, la SMV scende meravigliosamente in piega e non aspetta altro di essere portata ancora più giù.
I motardisti chiamano la mia SV con il termine “pif-paf bike”, per evocare la sua prontezza nell’assecondare la piega in un senso, prima, ed immediatamente nell’altro, dopo. Ma allora come vogliamo chiamare questa Aprilia?
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Il capitolo reattività merita poi di scendere nei dettagli riguardanti il motore.
Anzitutto, questo bicilindrico settemmezzo viene dato per 92 cavalli e ciò si traduce nel fatto che sia l’unità più potente mai provata dal sottoscrito. Devo dire tuttavia, che potenza e coppia espressi sono i fattori che meno mi hanno colpito in esso (cosa non da poco, se capite cosa voglio dire). Non che l’unità difetti dell’uno o dell’altro (non avrei mai perdonato una manchevolezza del genere), ma ad essere oltre qualunque limite di eccellenza nella performance sono invece regolarità e prontezza.
I vecchi bicilindrici a carburatori, se tenuti sottocoppia o presi con le marce basse, vibrano e rumoreggiano in modo ben poco educato. La Dorsoduro (dotata di un sosfisticato sistema di inizione elettronica) pareggia i confronti con un quattro cilindri: l’erogazione è sempre tonda, dolce e regolare.
La prontezza di risposta, poi, fa ancora meglio. In modalità “Rain”, la centralina taglia una discreta quantità di cavalli e ritarda molto la risposta alla richiesta di giri. Da fermo bisogna persino considerare alcuni centesimi di secondo di ritardo nell’intenzione di far muovere il veicolo. Nota negativa: in queste condizioni la frizione è costretta agli straordinari. In modalità “Touring” i cavalli ci sono tutti (in allungo si sentono fino all’ultimo) e la risposta all’acceleratore migliora nettamente. Passare infine alla modalità “Sport” dopo essersi abituati alla “Touring” ha effetti spaventosi: apriti cielo. La risposta dell’acceleratore diventa immediata e veloce quanto il pensiero (alla prima apertura ho rischiato letteralmente il disarcionamento). Il motore prende giri con la velocità di un fulmine e chiede voracemente di scaricare a terra cavalli in quantità, fino ad una soglia di 11.000 che viene raggiunta prestissimo, benchè, all’atto pratico, sia invece piuttosto lontana dal regime minimo di rotazione. Questo per dare un’idea della sfruttabilità del presente motore (esatto contrario della Yamaha).
All’atto pratico, con la Dorsoduro abbiamo fatto pari con qualunque monocilindrico in circolazione e raggiunto un’ideale quadratura del cerchio: bicilindrico in potenza e coppia, monocilindrico nella risposta al gas e quattro cilindri nella regolarità di funzionamento. Si può volere qualcosa di più? Personalmente non vedo cosa.
In conclusione, sono felice di annunciare che in questo frangente ho realmente dato forma a cosa sia la vera guida supermotard e le varie diciture di “mangiapane alle sportive” non mi sembrano più neanche tanto sbruffone, quanto malauguratamente veritiere.
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I difetti in realtà ci sono, ma sono modesti.
– La sella si scalda a causa del passaggio a pochi mm degli scarichi. Non si arriva ad un’effettiva ebollizione del fondoschiena, ma d’estate la cosa potrebbe dar fastidio. Temo tuttavia che non ci siano soluzioni, a meno che la stessa Aprilia non prenda provvedimenti.
– La manopola del gas a comando elettronico non ruota in modo fluido come un normale modulatore a cavo. Forse con una lubrificatina potrebbe però migliorare fino a tornare a posto.
– Oltre alla spesa della moto sono da mettere in conto un tesseramento in palestra (la guida sportiva della Dorsoduro assorbe energia fisica in quantità abnorme) e l’acquisto di una buona poltrona relax (anche la soglia di attenzione necessaria costringe ad ingenti richieste di concentrazione attiva).
– Dopo aver provato la modalità Sport, e l’esaltante senso di piacere che trasmette, nessuno penserà mai più di usare le altre due modalità di erogazione. Ed allora il serbatoio da 12 litri si fa veramente striminzito. Stavo pensando che magari, trovando un posto libero tra la V dei cilindri, sarebbe forse possibile mettere un’ulteriore tanichetta da accordare con il serbatoio per un incremento dell’autonomia.
Quest’ultimo problema, in effetti, comporta le noie più grandi nell’uso di questo veicolo (con rifornimenti ogni 150 Km circa), ma per adesso la questione mi tocca in quantità veramente minima.
Trovo ulteriore conferma, tuttavia, nel discorso che già facevo qualche mese prima di avere qualunque contatto con l’universo supermotard: “quando cambierò moto sarà con una di queste pseudoenduro”.
Ora che ho le idee ancora più chiare posso affermare con certezza che andrò non su una supermotard generica, ma su un modello ben preciso.
Diamo solo tempo al tempo.