I film di guerra non mi hanno mai veramente entusiasmato.
Ci sono tuttavia delle visioni alle quali un buon cinefilo (quale io ho l’arrogante ambizione di voler essere) non può proprio sottrarsi.
Ho visto “Black Hawk Down” di Ridley Scott.
In questa circostanza ho avuto il piacere di constatare che un po’ di intraprendenza nel superare i propri “pregiudizi” cinematografici ha fortunosamente pagato.
“Black Hawk Down” ha il non trascurabile pregio di porre in scena eventi di storia contemporanea, dopo che l’intero genere “guerrafondaio” ci ha subissato di narrazioni legate alla Seconda Guerra Mondiale o alla Guerra in Vietnam. Niente di male in fondo, ma da un punto di vista cinematografico è un po’ come se in tutti i thriller l’omicidio dovesse accadere puntualmente al Supermercato (alla Coop). Perchè? In realtà di questo argomento si potrebbe discutere e dibattere a lungo, resta il fatto che la ricerca di nuove strade, ambientazioni e la creazione di nuove circostanze è sempre un fattore positivo, artisticamente parlando almeno. E’ proprio a causa di questo che la già accennata staticità del genere guerrafondaio non è mai riuscita a venire incontro ai miei gusti personali.
In quest’ottica, giudico piuttosto positivamente anche il taglio realistico (nel senso di giornalistico, non romanzato) di questo film. Ci sono soldati che arrivano in fondo al film vivi, ed altri che muoiono a metà della vicenda, come è ovvio che sia, ma in nessun caso si è cercato di mettere al centro un personaggio e di trasformalo in un glorioso eroe della patria e della libertà (manovra che giudico subdola ai limiti del meschino). Dal lato diametralmente opposto, anche il tema dell’inutilità della guerra, dello spargimento di sangue che ancora viene perpetrato in Somalia e degli storici genocidi che hanno sempre caratterizzato le popolazioni più povere del mondo non è affrontato con lunghe disquisizioni di natura etica (modus operandi generalmente più elegante) o con obiettivi palesemente moralistici. Complessivamente direi quindi che è stato girato un film abbastanza neutro, discretamente obiettivo, per essere una pellicola americana NON indipendente. Unico punto su cui si è calcato di più la mano per fare “bella figura” è l’affermazione “nessuno deve essere abbandonato”, ma tutto sommato è un compromesso che a mio parere può dirsi accettabile.
A titolo personale traggo quindi un giudizio nel complesso positivo, anche perchè alla fine del film mi sono ritrovato su Wikipedia a cercare di capire ancora un po’ meglio l’operazione “Restore Hope”, cosa che con il “Salvate il soldato Ryan”, per citarne uno, non avevo fatto.
Però il mio film di guerra preferito rimane comunque “Orizzonti di Gloria”. Ma questo l’ho ripetuto un milione di volte, vero?
OT: Alla fine mi sono registrato…
Una volta era facile fare film sulla 2a GM le scenografie ed i mezzi si trovavano facilmente, ora sei vuoi uno Sherman lo devi cercare in un museo. Altrimenti fai come in Pearl Harbor dove gli Zero bombardavano caccia lanciamissili.
Però a volte questi film moderni perdono un po’ del genere e sembrano più dei semplici film d’azione. Insomma, “Il giorno più lungo”, l’italiano “El Alamain” sono più “classici” e a mio parere più interessanti.