“El topo”

E ora: let’s dance.

Ho visto “El topo” di Alejandro Jodorowsky.

Devo premettere che, dato il genere di film (Manierismo? Psichedelia?), sarebbe abbastanza pretenzioso da parte di uno tanto lontano dal campo (io) voler stendere un giudizio. In base a cosa potrei farlo, peraltro? Come si possono astrarre da una pellicola come questa dei riferimenti atti a valutare l’efficacia della narrazione? Ma in fondo, è il fattore narrativo che in questo caso deve essere messo al centro dell’attenzione? O Jodorowsky ambiva solo ad un po’ di espressionismo cinematografico? Questa domanda, evidentemente chiude il cerchio.
Tuttavia, c’è espressionismo ed espressionismo. In realtà c’è una sola cosa che si chiami espressionismo, ma tramite la presa visione della pellicola in esame posso azzardarne l’identificazione in due forme piuttosto distinte, almeno nell’ambito cinematografico di larga diffusione. E su questo presupposto vorrei impostare l’analisi.
C’è l’espressionismo di Jodorowsky e quello di Lynch. ‘Divergente’ il primo, ‘convergente’ il secondo.
Consideriamo prima l’uso dei simboli in “Mulholland Drive”, capolavoro del secondo regista: ognuno di essi è stato scelto con una precisa funzione di significato, piccola forse, ma imprescindibile. In “Mulholland Drive” non viene richiesto allo spettatore di seguire solo la trama, ma di valutarne il messaggio ed il tema, fino alla vera e propria ricostruzione della vicenda estrapolata dai punti di vista soggettivi di ogni singolo personaggio. Espressionismo ‘convergente’ perchè qualunque stranezza ed incongruenza con il piano della realtà costituisce un oggetto di pilotaggio verso quella che si considera l’unica chiave di lettura e l’unico mezzo per dare senso compiuto (nonchè logica consequenzialità narrativa) alla successione di immagini.
“El topo” ha una meccanica assolutamente complementare. Il simbolismo dilagante è solo oggetto di contorno. E’ ambientazione, coreografia. E’ insito in profondità fino ad influenzare lo svolgersi degli eventi, ma non entra a far parte dell’interpretazione univoca dell’azione. Che bisogno ce ne sarebbe infatti: l’azione è lì, sotto gli occhi di tutti, e seguirla non costituisce difficoltà. Quello che si vuol dire è che nei simboli di Jodorowsky non c’è una vera e propria chiave di lettura dell’opera. I simboli non servono per comprendere i personaggi, le loro azioni, motivazioni e altro. Nessuno di loro ha una ragione di trovarsi lì in quel momento e qualunque spettatore può vedere in ognuno di essi quello che più lo aggrada. In poche parole, non sono altro che un occhiale dalle lenti colorate che Jodorosky ci consegna nel prologo e che ci chiede di indossare nella visione di una storia di un cowboy (El topo) calato nelle vesti di Gesù Cristo.
Ciò è utile?
Impossibile rispondere, evidentemente. Diciamo solo che il modo di fare espressionismo di Lynch è più difficile, perchè più misurato, ragionato. L’espressionismo di Jodorowsky, essendo più svincolato, può tuttavia puntare il tutto per tutto sulla forma, sull’essenza dell’immagine, ed i risultati si vedono: figure come lo storpio senza gambe sulle spalle dello storpio senza braccia, ed il cowboy albino tra gli scuri nani deformi non hanno uguali nella storia del cinema, soprattutto in quello privo di effetti speciali, che mantiene ben saldo il legame tra lo spettatore e la dimensione narrativa.
Un’ultima cosa: non so se mi sia capitata una copia del film con dei tagli, ma il montaggio di “El topo” mi è risultato veramente strano. In più di una sequenza gli stacchi di camera violano qualunque regola di non artificiosità e di naturalezza del cambio di inquadratura, in quantità tale che il punto di vista può cambiare violentemente anche di parecchi metri, andare e tornare dalla diagonale ed ignorare qualunque forma di continuità: più e più volte gli attori, letteralmente, scompaiono e riappaiono in posizioni completamente diverse.
Altra concessione all’espressionismo?

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