3 settimane fa ho fatto un giretto lungo la Via Cassia, per andare a trovare un mio amico a Tavarnelle.
Ma solo il giro di Venerdì ha degnamente consacrato l’apertura della mia stagione motociclistica.
Come si dice molto spesso in queste occasioni, tutto parte dal molto piccolo.
L’idea che sta alla base di questa prima passeggiata -per usare un eufemismo decisamente stretto- è quella di rubare ai propri impegni un paio di ore del Sabato mattina e di andare motomuniti a mangiare un pezzo di schiacciata verso San Casciano. Perchè non di solo moto vive l’uomo (forse).
Quando però il Venerdì ti mette di fronte un tempo sereno, soleggiato e quasi estivo, soprattutto a seguito di un paio di settimane decisamene grigie e burrascose, il danno è fatto: al diavolo gli impegni, al diavolo la schiacciata. Si fa un’improvvisata (le esperienze migliori sono sempre frutto delle improvvisate) e si parte il giorno stesso, con una meta anche più ambiziosa di San Casciano, qualunque essa sia.
Il rendez-vouz è fissato per le 15:30 davanti a quella che per tutti noi costituisce “la base” -un po’ come la Fortezza delle Scienze per Mazinger-, ovvero la sede del nostro corso di Giapponese. A dirla tutta, già dalle 14:00 io mi sto baloccado con la moto: che il giro sia lungo o corto, è meglio avere tutto in ordine. Do quindi una gonfiatina alle gomme e lubrifico un po’ la catena, componente che negli ultimi giorni ha preso molta acqua. Ho quasi il pieno di benzina, il contakm segna infatti un rincuorante 30 km e ciò significa che prima di dovermi fermare a rifornire potrei quasi arrivare a Roma. Ma non abbiamo intenzione di spingerci fino a Roma. O almeno, crediamo di non averne l’intenzione.
Rispetto alla Fortezza delle Scienze, la scelta di un itinerario tutto curve adatto ai motarder è piuttosto limitata: o si prende la Volterrana e ci si lascia guidare fino a Cecina, oppure si imbocca la Cassia, con l’opportunità (e molta resistenza fisica) di vedere il mare di Grosseto. E’ contemplata anche la politica: “non è obbligatorio raggiungere la meta ultima, si va avanti finchè lo si vuole, dopodichè basta fermarsi e tornare indietro”. Siamo in due, non dovrebbe essere un problema mettersi d’accordo. In caso, ho una pistola con me (N.B. SCHERZO).
Visto che la schiacciata non è più un motivo trainante per noi, propendiamo per l’alternativa. Saliamo in sella, alziamo il cavalletto, chiave, frizione, starter, cambio verso il basso, gas, frizione e sterzo: ci stiamo già dirigendo alle pendici della Volterrana. Con una frase sibillina, ma venuta per scherzo, che echeggia dentro il casco di entrambi: “una volta al capolinea di Cecina, arrivare a Rosignano è questione di pochi minuti”. (Non so proprio come mi escano certe idee. Anzi, lo so, solo che per tutelarsi è meglio fingere almeno un minimo di buonsenso ^__^).
Come due piccoli animali in gabbia, ci lasciamo trascinare dal traffico urbano fino al Galluzzo. 100 metri dopo inizia il Vero Divertimento.
Hashìn!
Ho descritto il paesaggio della Volterrana più volte in passato e, data la sua capacità di essere sempre uguale a se stesso, eviterò di perdermi in ulteriori dettagli. Al contrario, punterò ancora il dito sulle meraviglie del serpentone di asfalto: nel giro di 110 km c’è quanto di meglio un individuo a bordo di un veicolo a due ruote ed un motore possa sognare, che si tratti di una supersport (dopo Saline, una R1 ed un CBR 1000 ci hanno scavallato alla velocità del suono), di una supermotard, di una turistica, di una piccola cilindrata, di una custom/cruiser oppure di un enduro. Poco prima di Volterra, ad un semaforo di lavori in corso, ci siamo imbattuti in due cross con fanali coperte di fango e vistosamente preparate, a giudicare dalla lunghezza delle forche di entrambe. Se questo non è un chiaro segnale di una pista battuta nelle vicinanze… Tornando con la mente sull’asfalto, la lunghezza del tragitto permette la massima variabilità in termini di curve: misto stretto, misto più largo, tornanti, rettilinei, salite e pendenze di qualunque genere. Tutto e sempre, e per qualunque livello di preparazione, ma solo per chi sa apprezzare. E mi inserisco tra questi: i metri scorrono uno dopo l’altro sotto i nostri pneumatici con piacere e disinvoltura.
Ali gioca ancora una volta al Tetsuya Harada (pilota che da ragazzino era il suo idolo) della situazione. Benchè tenga un ritmo di viaggio non particolarmente sostenuto -la lancetta del tachimetro oscilla nei dintorni dei 70 Km/h- si diverte, come gli compete, a sfruttare l’intera larghezza della corsia, passando dalla striscia bianca esterna a quella interna nel tentativo di disegnare belle traiettorie. Una volta in più cerca di migliorare lo stile della piega, la postura in ingresso, centro ed uscita di curva. Se non altro, adesso ha le idee chiare in merito alla teoria, e sta cercando di metterla in pratica al meglio, compatibilmente con quanto la sua ciclistica possa permettergli di fare. Le cose non vanno poi tanto male, se pensa all’automatismo dei movimenti che ha sviluppato nelle ultime sortite. Ma il ginocchio a terra è ancora lontano anni luce. In questo caso, però, Tetsuya non può fare miracoli e non gli conviene cercare di farne: solo cambiando gomme e montandone una coppia più performante potrà scoprire, cosa che spera, se i suoi tentativi di imparare l’arte gli avranno aperto lo scrigno delle pieghe al livello Casey Stoner. Scherzi a parte, in realtà a Tetsuya basterebbe riuscire a girare bello tondo, cosa che gli è al momento preclusa da un battistrada degno di un trattore.
Ogni centinaio di metri percorsi lancio un’occhiata al retrovisore, per essere sicuro che non ci siano problemi e che un sorpasso, un coniglio mannaro in attraversamento oppure un partigiano tardivo con lupara non abbiano attardato l’altro pilota del giro, Haruchika Aoki, soprannominato per l’occasione Haru-san. Fortunatamente non si concretizza nessuno di questi drammatici accadimenti.
Verso le 16:15 il contachilometri indica circa 40 unità di lontananza dalla Fortezza delle Scienze. Siamo a Certaldo. Ad un incrocio Tetsuya accosta da una parte per fare un veloce briefing, valutare il ritmo velocistico della scampagnata e decidere quali possano essere la distanza ancora da percorrere o il tempo da spendere per allontanarsi ulteriormente. D’improvviso il bel tempo, l’orario nient’affatto tardivo e l’entusiasmo di una strada così divertente fanno sentire tutto il loro suadente richiamo e pensare di tornare indietro di lì a poco diventa come pensare di interrompere il divertimento al suo culmine: rompere un giocattolo nuovo ad un bambino nel giorno del suo compleanno poco dopo che questi lo ha ricevuto potrebbe renderlo meno depresso. Invece che tornare indietro, a quel punto ha senso solo andare avanti, andare lontano e godersi ogni minuto di sole, cm di strada e cavallo di spinta. Quale coincidenza: tutto ciò è esattamente quello che la sibilante proposta fatta in sede di rendez-vouz permetterebbe di fare. D’improvviso la scherzosa proposta, in principio giudicata del tutto inappropriata, diventa assolutamente irrinunciabile nella sua attuazione.
Come dice il motto ufficiale Kawasaki: “let the good times roll”.
E tanto basta: quando le due Suzuki riprendono la strada puntiamo verso Cecina ed alla meta ultima di Rosignano.
Visto che il ritmo impostato è stato giudicato accettabile, perpetuo con le stesse medie velocistiche. Le uniche occasioni in cui la lancetta del tachimetro perde km/h è all’attraversamento dei centri urbani, tutt’altro che infrequenti, ed in presenza dei quattro autovelox che sono disposti lungo la via. Più che a causa degli autovelox, lo stop più brusco è riconducibile ad un’inquietante segnalazione indirizzataci da una Hornet proveniente nel senso di marcia contrario: il collega ci fa cenno di rallentare (anche se in effetti siamo quasi fermi). Di lì a poco scorgiamo infatti una pattuglia dei carabinieri sul ciglio della strada, apparentemente più intenta a prendere il sole che non le targhe dei trasgressori.
La punto blu scura si trova alla base di quella che io chiamo “la salita”, un rettilineo di pendenza medio-alta che ogni volta mi riporta alla mente la grande avventura in Liberty 50.
Ho percorso la Volterrana con qualunque tipo di mezzo, auto, moto e motorino e non ci sono mai stati problemi. Ma dirlo ora è facile: quando hai caricato uno scooterino 50 4 tempi come una roulotte, le cose possono non assumere tinte così vivaci. Siamo sicuri che un motore così modesto possa riuscire ad affrontare una pendenza del genere carico del conducente, di un trolley e di uno zaino stipato all’inverosimile? Quando ebbi l’occasione di scoprirlo, non ne ero affatto certo ed il timore di dover tornare indietro prematuramente o di dover cercare un’altra strada mi accompagnarono per metà del viaggio. Ma questo accadde tanto tempo fa e tutto si risolse per il meglio. Quando invece hai 65 cavalli e l’accelerazione paragonabile a quella di una Murcielago LP670, puoi anche concederti la soddisfazione di sorpassare le auto in transito lungo quello stesso rettilineo e lungo quella stessa salita.
Di lì a poche centinaia di metri scolliniamo e la piana di Volterra (licenza poetica n°1) appare ai nostri occhi in tutta la sua magnificenza. In questa circostanza una fermata e d’obbligo. Puntiamo il dito verso il paese dal quale il nome della strada, cittadina che svetta pittoresca in direzione Sud Ovest (licenza poetica n°2: in realtà un po’ di foschia tendeva ad appiattire il tutto) e verso le colline più in lontananza. 1, 2, 3, 4. Dobbiamo attraversare quattro livelli di colline prima di arrivare in vista del mare. Ma solo un’azione ci permetterà di farlo: dare gas.
Dopo una breve conversazione ci rimettiamo in sella, incrociamo gli enduristi di cui sopra e ci buttiamo nel toboga che si fa strada tra campi di grano Volterr… Volterrani? Volterresi? Volterrini? Involtini? A rallentare il nostro ritmo in questo tratto incontriamo una delle poche code automobilistiche del nostro tragitto. Per dirla tutta, rallentare non è un verbo del tutto appropriato, poichè sono sufficienti pochi metri a permetterci di sopravanzare una dopo l’altra le auto in marcia.
E’ la “discesa” (sorella della “salita” e luogo in cui una volta provai a tirare la sesta alla moto, salvo poi dirmi “siccome ho intenzione di vivere non farò mai più una cosa del genere”) a condurci al fantomatico bivio per Volterra. Svoltando a sinistra si inizia ad inerpicarsi per la collina della stessa (la Chiesa di Volterra, la Chiesa di Volterra, la Chiesa di Volterra, la Chiesa di Volterra, la Chiesa di Volterra: sono anni che continuo a passare di lì ripetendomi che è una visita di mio interesse ma continua a mancarmi lo spunto. Sarà mica che ho paura di perdere il “colore del grano”?) mentre svoltando a destra ci si indirizza per la deviazione verso Saline. In questa circostanza commetto quello che forse è il più grande errore della giornata: prendo a destra. I tornanti che stanno alla base della salita per la collina di Volterra sono infatti molto stretti, e le mie gomme vanno in crisi se forzate a sterzare a bassa velocità. In poche parole: mi pianto. In questi casi mi sembra di remare, piuttosto che di andare in moto. La mia SV diventa un oggetto a movimento vettoriale (come la sportiva di automan) e per curvare è fisicamente necessario ruotare lo sterzo, non flettere l’asse del baricentro. Dico questo per far capire ancora una volta quanto l’odio per le mie gomme non sia solo un capriccio di Tetsuya, ma una realtà concreta. E’ altrettanto vero che i km di tornanti sono pochi e che una volta superato questo scoglio si viene premiati dalla bella vista di un paese che non ha eguali e di una strada che farebbe impallidire il Katoon di Gardaland. Parola di boy-scout: mai mai mai mai più la variante lunga.
Raggiunto Saline, la strada cambia e perde la sua caratteristica tortuosità. Ora può dirsi, ahinoi, una statale a tutti gli effetti: larga, piuttosto rettilinea con asfalto nuovo fiammante (disseminato di cristalli di quarzo che riflettono la luce del sole come nemmeno una caverna di diamanti saprebbe fare). Il traffico si infittisce ancora una volta, ma qui c’è spazio a volontà per qualsiasi forma di sorpasso e ne abbiamo testimonianza pratica quando due F14 ci sfiorano sulla sinistra. Il nostro ritmo, comunque, non cambia di una virgola. Ma sarebbe meglio che lo facesse: il rinnovamento della strada ha portato alla comparsa di almeno tre nuove rotonde delle quali non ero a conoscenza. Solo un cartello gigante di divieto di accesso mi dissuade dall’infilare la prima di questa sequenza in senso contrario. Ma ciò non arresta il mio disappunto: le mie gomme non comprendono la differenza tra una rotonda ed un tornante, sanno solo che a loro viene chiesto di curvare a raggio stretto a bassa velocità. Ed ovviamente si rifiutano di farlo. D’altro canto, non poteva che essere così: al mare si rema, non si va in moto.
Mentre una lunga serie di accidenti viene rivolta all’assessore al traffico di Cecina, varchiamo infine la soglia di quest’ultimo comune, nella forma di sottopassaggio della superstrada. Ad una delle soste al semaforo precedenti, i piloti si sono accordati per arrivare fino a Rosignano via strada normale, e solo da lì a Firenze, per il ritorno, di affidarsi alla superstrada, qualora la stanchezza iniziasse a farsi sentire. L’ultimo tratto di statale ci strappa definitivamente al nostro Eden fatto di curve e controcurve. La strada, ma soprattutto il traffico, assumono le proporzioni alle quali siamo abituati in sede cittadina. Fortunatamente non si tratta che di pochi km.
Percorrendo la strada per Rosignano ho un piacevole senso di familiarità (ed una punta di nostalgia: “Was the summer of ’69”). Senso di familiarità che di lì a ben poco sfocerà in un vero e proprio flash. Dopo il rettilineo per Vada, Haru-san passa avanti, marciando con sicurezza verso la meta ultima del nostro giro, la sede dell’ambulatorio. Tale luogo mi è stranamente familiare, ma per circostanze leggermente diverse dal deja-vù dell’Aurelia. Quando metto insieme i pezzi del puzzle non riesco a trattenere una sonora risata sotto il casco.
Inizio flashback.
Ali e Max sono di stanza a Marina di Bibbona, in uno di quelli che è uno dei loro primi viaggetti in moto.
Ali ha ancora la Aprilia RX-125, Max il Fantic Caballero 125.
I due sono ospiti a casa del primo. Il secondo li ha condotti alla meta percorrendo -ma guarda un po’- la Volterrana ed introducendola al primo, scelta obbligata a causa delle cilindrata dei mezzi, che preclude loro l’accesso a qualunque strada a scorrimento veloce (non che ciò avrebbe cambiato qualcosa, ben inteso).
Un comune pomeriggio di sole Ali e Max snobbano alla grande Lollo, che invece li aspetta a Castiglioncello, e decidono di procurarsi un po’ di sano divertimento estremo.
A Cecina, vicino ad un cantiere, in un piccolo piazzale sterrato dove delle ruspe hanno raccolto dei piccoli cumuli di terra, si danno arie da crossisti scafati, esibendosi in evoluzioni generalmente al di fuori della loro portata.
Poco dopo Maxino paga le conseguenze di questo comportamento scellerato e cade rovinosamente a terra. I vestiti vanno distrutti ma il malcapitato si procura solo alcune abrasioni.
A seguito di eventi piuttosto ininfluenti ai fini della trama, la coppia si trasferisce finalmente da Lollo, a Castiglioncello. Per una sequenza di eventi ancora più ininfluenti e piuttosto insensati, un’interminabile processione di individui accompagna infine Max (che sta benissimo) all’ambulatorio di Rosignano.
Fine del flashback.
12 anni dopo questi eventi sto varcando nuovamente quella soglia, fortunatamente in circostanze completamente diverse.
Parcheggiati i mezzi nel parcheggio più deserto del mondo, ci sgranchiamo un po’ le membra intorpidite ed agli orecchi mi giungono le parole di una conversazione telefonica che ha tutto lo stile di un film di Guy Ritchie:
– Pronto […] sei sola?
– […]
– Allora apri il cancello.
– […]
– Perchè hai gente.
La sosta presso l’ambulatorio è breve. Sono le 18:30 e l’orologio suggerisce in modo abbastanza chiaro di rimettersi in marcia quanto prima, non tanto perchè stiamo scomodi (sospiro…), quanto per evitare di attardarsi oltre il calar del sole. Sembra facile a dirsi: quando trovo posto su una sedia, mi accorgo di non aver mai goduto di una sensazione tanto piacevole nel semplice gesto di scaricare il proprio peso. Una leggera sonnolenza mi avverte che è solo l’entusiasmo a tenermi sveglio, ma che i 100 e passa Km non sono passati completamente in scioltezza. Dopo un po’ di conversazione, i piloti risalgono coraggiosamente in sella. Tetsuya (pilota che era soprannominato ‘il samurai’) mette due marce e di nuovo il suo cervello si resetta, iniziando ad interpretare unicamente le informazioni attinenti la guida. In poche parole, al di fuori del ciglio della strada potrebbe anche scoppiare una guerra nucleare, al samurai interessa solo giocare con le curve, come il gatto con il topo. Ma c’è ancora bisogno che io dica queste cose?
Il tragitto scelto per il ritorno è diverso rispetto a quello di arrivo. Haru-san suggerisce un percorso di sua conoscenza, ovvero un pezzo di strada statale fino al “casello” di Lavoria, dove il duo abbandonerà definitivamente le proprie intenzioni bellicose per lasciarsi ricondurre a Firenze dalla Fi-Pi-Li.
E così sia.
Abbandonando Rosignano provo l’ennesimo senso di familiarità lungo la strada. Ad un incrocio mi pare di riconoscere alcuni pini e mi riallaccio mnemonicamente allo strepitoso giro fatto in moto con Lollo in cerca degli “Ushio e Tora” per tutte le fumetterie della Toscana. Quando pochi metri dopo mi volto di spalle, un bellissima visione fatta di mare e spiagge conferma i miei sospetti: è proprio lo stesso punto panoramico. Ma la cosa non si esaurisce qui. Dopo alcuni passaggi a me sconosciuti -rispettivamente la via di un paese che ha tutta l’aria di una zona pedonale, l’autovelox più assurdo del mondo (arancione, alto due metri e tarato sui 30 km/h) ed un boschetto che sembra più fitto della foresta pluviale- raggiungiamo un incrocio che ci immette sull’ennesima statale a me non del tutto sconosciuta. Si tratta della variante più accreditata dai miei genitori per raggiungere il mare. Magari il mondo non è tanto piccolo come dicono, ma le strade in Toscana, gira e rigira, sono sempre quelle. Occorre solo rimontare il puzzle…
Il tratto fino alla Firenze-Pisa-Livorno scorre non meno suadente di Cassia e Volterrana e, nel mentre, il sottoscritto continua a ripetersi “ehi, ma questo incrocio lo conosco!” oppure “no, di qui non ci sono mai passato”.
Quando saliamo la rampa della superstrada sono combattuto: da una parte mi dispiace abbandonare il parco giochi, la parte infantile di me ruberebbe una delle auto scontro e tornerebbe a Firenze con quella. Dall’altra parte, il lato razionale della mia persona dice invece che è la scelta più giusta da fare: volenti o nolenti, siamo piuttosto provati, sta arrivando la sera (ed il fresco) e la strada da fare è ancora tanta.
Ragione Vs Sentimento 1:0.
Lungo la superstrada impostiamo una velocità di crociera a ridosso del limite e ci lasciamo trasportare dalla corrente. Lungo questi primi km lancio l’ultima occhiata allo specchietto sinistro -benchè non ce ne sia motivo, Haru-san è davanti a me- ed inquadro un’altra piccola meraviglia: c’è un tramonto strepitoso. Il sole che se ne sta per andare all’orizzonte è una disco perfetto di colore arancio splendente e proietta un rossore d’incanto sui cirri che gli sono più prossimi.
Più i metri passano, più la scelta della strada mi sembra opportuna: quando non devi concentrarti sulla guida puoi dedicare una parte del tuo cervello a valutare il tuo stato fisico e realizzare quanto lo hai messo alla prova. In tale ordine di idee una SV si rivela critica specialmente in due punti: sui semimanubri bassi (molto belli e corsaioli, se non fosse che a causa della loro scarsa altezza costringono i muscoli delle braccia agli straordinari per via del carico) e sulle pedane. Le mie pedane sono troppo basse: per tenere una postura ordinata e ben composta -voluta per limitare inutili attriti con il flusso d’aria- è necessario poggiare i piedi di punta. Questo comporta un marcato indolenzimento ai muscoli della caviglia. Nel corso dei km cerco di sgranchirmi un po’, ma è tutto inutile: dovrò arrivare a Firenze così. A distrarmi dall’autocommiserazione, giunge improvvisamente un rallentamento nel flusso del traffico. A causa di alcuni lavori in corso, e per un breve tratto, la carreggiata si restringe in una sola corsia e questo genera il classico effetto ‘collo di bottiglia’. Con le moto è piuttosto semplice scavallare l’ingorgo, ma mi sento terribilmente insicuro nel sorpassare a destra la colonna di macchine. Niente che tuttavia non si possa affrontare con un 110% di fattore prudenza. In quest’occasione sorpassiamo ferma in colonna anche una Ferrari 599 GTB Fiorano nera (“come la morte” direbbe Giò). Et voilà, depenniamo anche la Fiorano: con questa ho incontrato su strada pure l’ammiraglia Ferrari. Dopo un tratto ad una singola corsia, che ci interdice ogni sorpasso, il nodo si scioglie e possiamo riprendere il ritmo che ci è più congeniale. Per recuperare tempo perduto aggiungiamo qualche Km/h alla nostra velocità di crociera. Per ripararmi maggiormente dall’aria che arriva in maniera più copiosa cerco di accoccolarmi un po’ meglio dietro al cupolino, ma la postura è ancora più costrittiva ed il riparo non migliora granchè. Se non altro, nessuno di noi due cavalca una naked. Alla velocità alla quale stiamo stazionando, il mio motore gira in sesta a 5500 giri ed è appena entrato in coppia. E’ un ottima cosa per i consumi, penso. Mi rendo conto una volta di più che, sia il mio motore, sia la mia ciclistica (dal rigore inappuntabile a questa velocità), potrebbero andare tanto e tanto oltre con 65 soli cavalli e che, di conseguenza, non sentirò tanto presto l’impellente necessità di saltare su una R6 o qualcosa di ancora più prestante. Alla formulazione di questo logoro ed arcinoto ragionamento, sento Nana nella mia tasca che fa i saltelli di gioia. A distogliermi dai miei pensieri concorre improvvisamente un rombo sulla sinistra. Pochi attimi più tardi, una vettura nera sfreccia accanto a noi nella corsia di sorpasso: la Fiorano ci ha ripreso. Con tutto il rispetto per una vettura da 600 cavalli, il confronto con la Murcielago di pari frazionamento è impietoso: il rumore degli scarichi e la presenza scenica dell’ammiraglia Lamborghini sono tutt’altra cosa. Ancora pochi km più tardi raggiungiamo la nostra uscita ed il giro può dirsi ufficialmente concluso. Riprendere a lavorare di freni e sterzo dopo circa un’ora e mezzo di rettilineo a gas costante è una specie di trauma, ma è l’unico modo per ricondurre se stessi alla propria abitazione.
Al momento dei saluti, l’orologio indica le 20:20. Sono quasi cinque ore di viaggio e 250 km di strada percorsa. Sommando altri 30 km che avevo alla partenza, il mio pieno è durato 280 Km. Coincidenza delle coincidenze, la mia spia del carburante inizia proprio in quel momento a dare i primi segnali di ingresso in riserva. Con 16 litri di serbatoio meno due di riserva, il conto del consumo si attesta esattamente sui 20 Km/l. In tempi di crisi petrolifera, è da considerarsi un ottimo risultato. Potrei consumare ancora meno se smettessi di fare la doppietta alla scalata di ogni marcia, ma penso che addolcire la sferzata di freno motore alla trasmissione possa realmente servire a qualcosa. Se i consumi si manterranno stabili non interverrò ulteriormente sullo stile di guida. Tra l’altro, ho ancora le candele da cambiare per poter guadagnare qualcosa in termini di economia di esercizio. Mi riservo tuttavia ulteriori considerazioni meccaniche per articoli futuri. Come posso invece concludere degnamente il resoconto di questa giornata stellare?
A Silvia vanno sentiti ringraziamenti per la compagnia e per aver condiviso con il sottoscritto il massimo divertimento che un pomeriggio libero possa offrire.
Ed in nome di tutti coloro che mi leggeranno, approveranno o denigreranno, si sentiranno partecipi o proveranno solo distacco, sapranno cogliere il divertimento o la sola spregiudicatezza: quando si riparte?
P.S. C’è nessuno che voglia partecipare alla Parigi-Dakar insieme a me entro i prossimi 20 anni?
Coff..coff… hem Scusate, sono il partigiano ritardatario, volevo dirvi che non è stato carino sfrecciare davanti ad un vecchietto, intento a caricare il fucile a tromba con i piombini, senza attenderlo. La gioventù di oggi non ha rispetto delle generazioni del passato…
Lasciando da parte gli scherzi, vi invidio tantissimo, quel genere di cose con la mia 125ina non potrei mai farle e la pecunia non mi accompagna in scelte per il futuro. In ogni caso mi fa piacere leggere di queste emozioni che spero anchio di potermi permettere un giorno.
E come altro potevo registrarmi? ^^ Devo dire che l’assonanza del nome è innegabile, e il centauro in questione non mi sta nemmeno antipatico… approvato! 😉
E mentre penso a quale possa essere la nostra prossima destinazione (ché senza dubbio, c’è sempre una nuova puntata da scrivere) ti ringrazio per la splendida piacevolissima giornata, notando con piacere che abbiamo apprezzato molte delle stesse cose… paesaggi, sole, curve! Così come spero che alla fine – per quanto certo non paragonabile alla bellissima Volterrana – non ti sia dispiaciuta la mia “strada per il mare”, almeno nel tratto, fuori dai centri abitati, dove il serpente d’asfalto taglia quei campi enormi e rassicuranti, verdi in primavera, giallissimi in estate… la trovo molto rilassante. No comment per l’autovelox dei 30km/h e sulla mia indispensabile accortezza nell’attraversare i paesi dove – ahimè, esperienza di famiglia – stanno MOOOLTO attenti ai limiti di velocità… ^__^
Mio caro Tetsuya (dal quale ho imparato qualcosa in fatto di guida, tenendoti davanti tutto il viaggio d’andata – tu non potrai dire lo stesso di me)… a presto alla Fortezza delle Scienze, ma a presto anche – mi auguro bene – per una nuova cavalcata!
P.S. la prima vera uscita di stagione si è fatta sentire… l’indomani ero tutta dolorante! Ma questo fa sì che la prossima volta… saremo ancora più in forma!
Invidia, tanta tanta tanta invidia!
Vedo un tempo in cui io, Giò (con Shiver) e Ramon (con GSX-R, pace all’anima sua ^_^) giochiamo bonariamente agli sportivetti ingarellatissimi. Salvo poi prendere paga (tanta) dallo stile neutro e bilanciato di Haru-san. E tu, mio caro Fabio, dietro di noi che te la ridi alla faccia nostra, dall’alto del comfort della tua Breva 850… Devo solo portare pazienza, prima o poi succederà.
Per adesso:
Haru-san, la prossima volta ce ne andiamo sull’Appennino? Futa? Il paesaggio e la strada non sono certo da meno in quanto a fascino dell’idillio. Ho come l’impressione che anche in questo caso la tua accortezza mi sarà indispensabile: io, come sempre, vado allo sbando, nel mare della più completa inconsapevolezza itinerante. Solo che farmi venire a riprendere lassù… O_O
Ti rammento che non ho neanche la patente A… 🙁
E quindi?
Io non ho il brevetto, però il mio prossimo passo saranno sicuramente gli aerei. (Oh yes!)