Ogni tanto i miei click impazziti mi conducono oltre ogni sensata visione di materiale video…
Ho visto il film animato di “Baldios”.
Francamente, per quanto mi secchi doverlo ammetere, non ricordo di aver mai visto una puntata di “Baldios” da bambino, ma una decina di anni più tardi avevo letto di lui nell’enciclopedia robotica degli anime. Quando questo film mi è capitato tra le mani ho deciso che era tempo di rimendiare, in parte almeno, alla mia lacuna.
Per quello che sono stato in grado di comprendere, il film ripercorre per intero la serie televisiva addensandola in due ore e modificandone alcuni aspetti narrativi di secondaria importanza. Non mi è ben chiaro tuttavia se il film sia stato realizzato rimontando varie scene della serie stessa. Questo potrebbe essere una parziale giustificazione all’assoluta frammentarietà della trama, trama che procede sostanzialmente A CASO per un buon 90% del tempo, per via della più assoluta mancanza di circostanziamenti e dell’assoluta inesistenza del rapporto causa-effetto di qualunque sequenza. In parole povere, lo schema narrativo è così ingenuo che la vicenda procede per circostanze fortuite dal primo all’ultimo minuto di programmazione.
I buchi nella sceneggiatura ed i punti oscuri poi non si contano.
Mi si potrebbe obiettare che in fondo erano gli anni ’80 e che per un’opera de calibro di “Baldios” (che di robotico ha, sostanzialmente, solo il gigante metallico ed il tema del conflitto) si debba scendere a qualche compromesso in termini di giudizio. Resto tuttavia dell’idea che, se alla regia ci fosse stato un certo Yoshiyuki Tomino, “Baldios” sarebbe stato perfetto, ed un vero capolavoro anche per gli anni ’80 (ma togliete pure il “per gli anni ’80”).
Quel che è certo è che, se il film di “Baldios” fosse un’anime così strettamente inguardabile, non starei spendendo tempo a recensirlo.
E infatti, andando più in profondità e lasciando perdere lo script, ci sono un paio di aspetti ben degni di nota.
Anzitutto, c’è un importante punto di contatto con lo stile di Tomino: “Baldios” è un bagno di sangue. I personaggi perdono la vita a ritmo serrato ed il finale, da questo stesso punto di vista è una vera e propria catastrofe nichilista. (Nota bene: non è che io sia un sadico, ma detesto dal profondo il buonismo, e preferisco di gran lunga la disfatta totale al trionfo della giustizia. Apprezzo quindi gli sceneggiatori che non si lasciano condizionare dal perbenismo melenso e farsesco diffuso nelle arti visive frutto della società contemporanea).
Oltre a tutto ciò, è ancora più interessante notare che a togliersi reciprocamente la vita in una guerra di cui presto nessuno ricorderà le cause, sono terrestri contro terrestri, uomini contro uomini, e non terrestri ed alieni cattivi. Niente male in in un genere saturo di dinosauri invasori, creature del sottosuolo e demoni infernali…
Benchè a tratti scada nel patetico, anche il rapporto amoroso mai dichiarato tra il protagonista buono e la generalessa cattiva ha un suo fascino e la scena conclusiva sulla spiaggia trascende a tal punto il concetto di melenso e romantico da sfociare nel vero spettacolo teatrale: da cornice. Anche se per pochi decimi di secondo, posso dichiarare raggiunti i livelli drammaturgici di “Lady Oscar”.
In generale, la piena appartenenza ad un genere che veniva definito “space drama” è fuori dubbio.
Da un punto di vista fantascientifico, ho inoltre apprezzato molto l’effetto di ciclicità temporale che si innesca con lo scoppio della guerra. Niente astrusi viaggi cronostorici con l’obiettivo di modificare il passato o di influenzare il presente, ma la classica “teoria del loop infinito” dal quale non ci si può sottrarre e la cui unica vittoria consiste nell’acquisire consapevolezza della sua ineluttabilità.
Per quanto riguarda più direttamente il Baldios, aspetto narrativamente secondario, ma di primaria importanza per un teorico dei Robot negli anime, il Baldios in versione definitiva non è sufficientemente pregevole esteticamente, ma la trasformazione è una delle più ridicole mai viste: delle tre astronavicelle, due si decompongono a cubetti, si ripiegano su se stessse e vano a formare le gambe dell’automa, la rimanente costituisce il busto del gigante. Ma che senso ha la forma astronavicellare se poi la scomposizione in singoli mattoncini di lego annulla qualunque vincolo meccanico?
(A riguardo, un esempio dell’assoluta casualità nonsense della trama: l’astronave centrale -il corpo del robot- è aliena e viene dal pianeta S1, le due astronavicelle sono terrestri e la FORTUITA combinazione dei tre manufatti di due galassie DIVERSE compone un’astronave più grande che è MIRACOLOSAMENTE in grado di trasformarsi nel robot da combattimento più forte di entrambe le civiltà [!!!]).
Un’ultima nota al character design: con il giusto rispetto agli immortali disegni di Shingo Araki e Michi Himeno, devo riconoscere che alcuni volti sono davvero affascinanti.
Sono convinto di non aver mai visto così tanti aspetti contrastanti e qualitativamente tanto agli antipodi in un’unica opera…