Lucca 2008 – Marduk Report

Lucca oramai non è più una gita di piacere, è una tradizione. Ed un appuntamento fisso che attendo con ansia 364 giorni l’anno ed un grande cerchio rosso sul calendario.

Sveglia alle 9.
Sono abituato ad alzarmi a ben altri orari per quello che considero L’evento, ma quest’anno il terzo uomo (“The Third Man”, del quale ringraziamo Orson Welles) sarà a Firenze solo alle 10:15 circa.
In una mezzora ripeto la procedura quotidiana di preparazione, con una piccola differenza: invece dello zaino con il portatile, recupero il piccolo zainetto che ho approntato la sera precedente. Al momento contiene solo il tubo da disegno (l’esperienza insegna che per proteggere i poster non c’è niente di meglio) ma sono sufficienti 10 minuti perchè al suo interno compaiano anche una coppia di panini ed una bottiglietta d’acqua. Raccolgo infine un piccolo ombrello. Non mi serve altro ed è meglio lasciare lo zaino leggero, visto che dovrò portarlo sulle spalle una giornata intera. Avrà tempo di riempirsi nel corso della visita.
Alle 9 e 45 recupero il secondo uomo ed insieme ci dirigiamo verso la stazione di Rifredi.
Uno dei primi spunti di conversazione è la classica domanda di rito: “cerchi qualcosa in particolare a Lucca?”.
Il secondo uomo mi elenca gli oggetti di suo interesse. Alla domanda “E tu?” rispondo lui con il seguente elenco:
– Alcuni manghetti, precisamente “Lady Oscar” edizione Panini n° 14 e n° 17 e “Paradise Kiss” n° 7, n° 8 e n° 10 (primissima edizione ovviamente).
In realtà “Lady Oscar” n° 17 e “Paradise Kiss” n° 8 e n° 10 vorrei solo ricomprarli in condizioni migliori, perchè le copie che ho già sono piuttosto distrutte. Gli altri due manghetti sono dei veri e propri buchi nella mia collezione.
– Un posterino a sviluppo orizzontale (da quando ho abolito la cornice a giorno con i “ricordi bambini” ho un’antiestetica zona vuota sulla parete).
– Merchandising di “Nana” o dei Black Stones, visto che girano un sacco di cose piuttosto eleganti relativamente a questo soggetto.
– Un ricordo di “One Piece”, a testimonianza del mia rinnovata passione per questa serie.
Sono anche pronto a scommettere che troverò qualcosa di interessante anche sul banco offerte della Dynamic (o Dynit) e, sei poi dovesse saltar fuori un “Nausicaa” n° 23 tanto meglio, ma non sono molto ottimista a riguardo.

Alle 10 e 30 circa recuperiamo il terzo uomo, il cui treno è inesorabilmente in ritardo. Volgiamo quindi alla volta di Lucca.
Fino a metà viaggio il tempo regge. In cielo ci sono grossi nuvoloni ma la visibilità è buona e solo qualche sporadica goccia di pioggia picchietta sul parabrezza.
Il sottoscritto, che si trova alla guida, mantiene la massima velocità di crociera consentita dai limiti autostradali, almeno per non incrementare ulteriormente il nostro ritardo.
Allo scadere della metà viaggio, la situazione precipita: il cielo si chiude improvvisamente e si trasforma in un’unica massa grigia. Inizia a piovere a dirotto. Il livello di entusiasmo in macchina cala di qualche punto percentuale. Sono già stato a Lucca con la pioggia e posso assicurare che sia un’esperienza traumatica. I capannoni, già strapieni di folla, diventano una sorta di pressato umano in cui è già tanto riuscire a respirare, figuriamoci vedere cosa espongono gli stand. Ad ogni modo, di tornare indietro non se ne parla. Il tachimetro non perde un km/h (la mia politica è sempre stata: gli inetti che si irrigidiscono come manichini solo per i cambiamenti climatici dovrebbero stare a casa).

Alle 11 e 15 circa siamo a Lucca e stiamo errando in cerca di un parcheggio. L’ora tarda, purtroppo, non ci aiuta di certo: questa è una delle due ragioni per le quali è altamente consigliato arrivare presto la mattina. Sfortunatamente, anche il mio posto segreto, quello dove parcheggio tutti gli anni ben sapendo di trovare un buco libero, è occupato. Si tratta di continuare a costeggiare le mura e di continuare a sperare. Seguendo la strada ci infiliamo in ogni piccola traversa di perferia, sperando in qualche m quadrato libero, ma niente: qualunque cosa che fosse vagamente somigliante ad un parcheggio è stata occupata.
A forza di procedere costeggiando le mura, siamo oramai in posizione diametralmente opposta all’ingresso della mostra rispetto la pianta quasi circolare della città. Imbocchiamo una strada un po’ più trafficata che si allontana perpendicolarmente dalle mura, quindi una sua piccola traversa e, finalmente, incappiamo in qualcosa che ha la vaga parvenza di un posto libero per la macchina.

Alle 11 e 40 circa stiamo attraversando le mura lato macchina con gli zaini in spalla. Sta ancora piovendo, anche se con minore intensità rispetto a quanto incontrato sull’autostrada. Non vale nemmeno la pena di tirare fuori l’ombrello.
Discretamente consapevoli della nostra posizione, attraversiamo la città, con l’idea di intercettare la Piazza del Duomo ed il primo stand e, difatti, così avviene. Pare tuttavia che quest’anno ci siano stati dei cambiamenti ed in piazza non c’è il solito capannone del fumetto d’epoca, quanto un piccolo tendone per gli ospiti, ovvero Carabinieri, Mediaset e Heroes. Entriamo ed usciamo molto poco convinti nel giro di alcuni secondi. Non resta che saltare alla piazza accanto. Nel piccolo trasferimento a piedi incontriamo i primi cosplayer del giorno: sono una coppia di Jessie e James di Pokemon. Non mi pare che abbiano un Meow con loro. Piuttosto, ma Pokemon ha ancora così tanta visibilità e successo da invogliare qualcuno a fare cosplay? Sembra di sì…
Arrivati in piazza puntiamo subito al grande capannone degli editori. All’ingresso dello stesso ci fermano chiedendoci biglietto e bracciale. Mostriamo il biglietto, ma ovviamente non abbiamo il bracciale. Anche quest’anno inistono con questa diabolica invenzione del bracciale. Come fare per entrare in possesso di uno di essi? Andare in biglietteria. E dove si trova la biglietteria? In Piazza del Duomo. Uffa. In pratica si tratta di tornare da dove siamo venuti. E continua a piovere. Visto che non mi va di iniziare la giornata facendo a pugni con qualcuno, diamo inizio all’insopportabile procedura.
Alcuni minuti più tardi riusciamo finalmente nell’obiettivo di varcare la soglia del capannone degli editori: il divertimento ha inizio.
La strategia prevede di seguire il perimetro esterno e poi di addentrarci lungo i corridoi interni. Uno dei primi stand che catturano la mia attenzione è quello interamente dedicato a “One Piece” (ho già detto che amo “One Piece”, vero?). Si tratta tuttavia di uno stand principalmente espositivo, quindi la sosta prevede solo un po’ di “vedere e non toccare”. L’unica cosa in vendita è una maglietta da ciclista con il disegno di Rufy.
Dal mio punto di vista, Rufy non è il miglior personaggio di una serie manga da porre su una maglietta, perchè dal sua aspetto grafico non traspare niente di particolare (bisogna conoscerne la caratterizzazione per apprezzarlo).
Una maglietta di Rufy, a mio parere, dice solamente: “il proprietario è un otaku dei cartoni animati”, quando a me piace il merchandising che dice “il proprietario è un otaku, ma ha il tocco”. E’ altresì vero che quella maglietta di Rufy ha dei colori veramente splendidi… insomma, la mia indecisione sta salendo. A farmi propendere per il “non la compro” è la scoperta del prezzo dell’articolo, probabilmente giustificato da una bassa tiratura.
Il mio gruppetto continua quindi l’esplorazione. La successiva fermata ad ampio respiro è allo stand del Vernacoliere, dove noto che effettivamente è uscito il nuovo volume di “Don Zauker”. Un amico mi ha chiesto di prendergliene una copia, ma decido che non voglio fare il primo acquisto della giornata a nome di qualcun’altro: ripasserò. Un secondo più tardi, notiamo che fuori dal capannone c’è il sole e quindi godiamo del pensiero che l’ombrello potrebbe rivelarsi fortuitamente inutile. In quel momento, facciamo caso anche ad un’altra impressione: non c’è tutta la gente che ci aspettavamo di trovare. La strategia del giorno feriale ha funzionato. Ricordo bene l’anno precedente che tortura sia stata quella di dover aspettar il proprio turno per la prima fila ad ogni singolo e misero stand: una condizione che è in grado di trasformare Lucca da bella avventura quale è in un vero e proprio incubo. Quest’anno, invece ci muoviamo liberi e con sufficiente disinvoltura. Procedendo nella visita, passiamo accanto allo stand Panini: anche quest’anno si stanno giocando la carta della ruota della fortuna. Ma in dieci anni non sono riusciti ad inventarsi nulla di nuovo? In realtà sto solamente pensando se mi convenga lanciare una bomba a mano dietro lo stand e fargliela pagare per le censure di “Ludwig”. Con ritrosia, abbandono il pensiero solo per buttarmi sullo stand successivo. Poco dopo passiamo davanti allo stand Dynit e una lucetta nella mia testa mi avverte che la voce “Dynit” compare in qualche sperduto angolo della mia lista dei potenziali acquisti. L’occhio mi cade in particolare sul cofanetto completo di “Le situazioni di Lui e Lei” (di Anno), sul cofanetto completo di “Tenchi Muyo” e sul cofanetto di “Keshin – Memorie dal passato”. Il primo viene scartato quasi subito: benchè in offerta, la spesa non è comunque tanto esigua. Gli altri due invece costituiscono una spesa più abbordabile. Visto che tuttavia, trovando il numero 23 di “Nausicaa”, tutto il mio budget Lucca potrebbe volatilizzarsi in un secondo, decido che posso valutare l’acquisto con calma. Mentre il sottoscritto è assorto in questi pensieri, il terzo uomo (che da questo momento chiamerò “M. – il mostro di Dusseldorf”) fa il suo primo acquisto: il cofanetto in tiratura limitata di “Evangelion Rebuild – 1:01”. Bravo ragazzo: “Hoby-Wan ti ha insegnato bene”. Il cofanetto è in offerta fiera, con sconto di BEN DUE EURO rispetto al prezzo pieno ed io stesso potrei approfittarne, se non fosse che a me è arrivato la sera prima agli Amici del Fumetto. (Come diceva Megumi Tendoji: Ha HA HA virgola HA). Il secondo uomo, invece, è intento a valutare -sento il rumore dei suoi pensieri- l’acquisto di una cofanetto in edizione limitata di “Paprika”. Come me, decide tuttavia di non concretizzare immediatamente.

E il primo capannone è andato. Ci dirigiamo al piccolo controcapannone che lo affianca ad Ovest.
Mentre i miei due compagni sfilano abbastanza velocemente, io mi blocco ad uno di quegli stand che vendono cose puccettose per i fan-boy e le fan-girl. In pratica, l’apoteosi degli gli otaku, e lo si vede anche dalla calca.
Io attedo pazientemente il mio turno fino a che non riesco a guadagnarmi un posto in prima fila. In quel momento i miei occhi incrociano quello che sarà il mio primo acquisto: un portachiavi con pupazzetto di Robin (“One Piece”). Oramai ho una collezione di portachiavi di Robin, perchè non estendere ulteriormente la famiglia? Allo stesso stand vorrei vedere anche i poster, se non fosse che una coppia di ragazzini è intenta nel compimento della stessa azione. Cerco di sporgermi per godere di un po’ di visuale, ma niente, lo spazio è troppo risicato. Mi metto in attesa. Una lunga attesa: i due fanno i soliti commenti su ogni singolo poster (“Guarda! Hai visto quant’è carino?! ecc. ecc.”). Francamente non so come abbia fatto a non resistere dal dirgli qualcosa di poco educato in merito al concetto di muoversi (sbrigarsi, fare alla svelta, darci un taglio ecc.) giacchè io ho ancora tutta la mostra da vedere. Alla fine, il ritardo è tale che i miei compagni di viaggio tornano a cercarmi, chiedendosi se sia ancora vivo. Io sì. Guardiamo insieme i poster, e con sommo gaudio ammiriamo diverse nuove immagini della “Rebuild di Eva” (Misato e Rtsuko in abito bianco e nero, che stile!). Nessuna di tali immagini, tuttavia, va per orizzontale, solo per vertico. Niente che mi possa servire, quindi (e non ho più cm quadrati liberi in camera mia da dedicare ad Eva). Non mi resta che saldare il conto di Robin. Evvai, meno una voce sulla mia lista di cose da comprare: il ricordino di “One Piece” è andato!
Proseguiamo con il terzo capannone in piazza, quello del fumetto d’autore, dove espone anche Mauro. Prima che ci fermiamo dallo stesso Mauro, il secondo uomo (Silkun) entra in possesso di una copia del primo numero di “Eden” (bravo, da parte mia non sei mai stato perdonato per aver interrotto uno dei migliori manghetti di fantascienza mai pubblicati! ^_^). Dopo ciò, ci fermiamo finalmente da Maurino di “Comics e Dintorni” per il doveroso saluto. La cosa che ci colpisce non sono i fumetti, quanto lo strano abbigliamento della persona: tesserino CSI (che stava per? Comics e? Boh, chi si ricorda!) e gillet smanicato da agente speciale. Sono tutti dei folli nel comitato organizzativo della fiera… Però sono dei geni!
Nonostante il capannone dei fumetti d’autore ospiti diversi arretrati manga, io personalmente non trovo niente che somigli ad un “Lady Oscar” o ad un “Paradise Kiss” e, nonostante le numerose richieste, nemmeno i miei due accompagnatori hanno modo di appesantirsi gli zaini. Una volta fuori, gli zaini, invece di appesantirsi, si alleggeriscono: è ora di pranzo ed un certo languorino inizia a ricordarci che non di solo manga vive l’uomo.
Con un panino tra i denti, tutti e tre cambiamo piazza ancora una volta e ci infiliamo in altri due capannoni. I più ad ovest, per quello che mi è dato sapere.
Ricordate cosa dicevo poco fa in merito agli stand per fanboy e fangirl? Quegli stand in cui cestoni enormi con gadget, gingilli, giocattolini, portachiavi e shitajiki la fanno da padrone? Ebbene, in questi altri due capannoni non c’è praticamente altro. Ad uno stand l’occhio mi cade sulla scatola del modello del Gunbuster (che soddisfazione deve essere la trasformazione di un oggetto così sofisticato!) ma il costo è oltre qualunque limite di seppur remota accettabilità. A pochi cm di distanza individuo anche un pupazzetto super-deformed di Pak (“Berserk”) con tanto di riccio. Veramente simpatico, però io ho un contenzioso ultradecennale ancora aperto con “Berserk” e non ho intenzione di rinnegare me stesso. Ad un altro stand ci sono tutti gli artbook di “Nadia” (non riesco a trovarli su Internet, perchè? Perchè? PERCHE’?), ma anche qui il prezzo non è affrontabile dalle mie modeste finanze. Dove prendo una solenne cantonata è invece ad uno stand in cui è esposto tutto -ma proprio tutto- il merchandising possibile di “Nana” (tranne la cravatta dei Black Stones, in effetti, l’articolo che più avrei sperato di trovare). Compro tutto? Ma proprio tutto? O ancora di più?
Il vantaggio dell’oggettistica di “Nana” è che, per volere della stessa autrice Ai Yazawa, diciamo così, ha stile. Se indossi qualcosa del genere, hai la benedizione di non sembrare un povero disadattato, ma uno che manifesta i propri interessi con un minimo di occhio al design. Proprio come piace a me. C’è un solo problema: il postulato della riga sopra vale certamente per le ragazze, ma per gli uomini? Non si può certo dire, in effetti, che il materiale che vedo esposto con i temi di Vivienne Westwood sia unisex. “Accidenti, c’è un limite a tutto, anche all’anticonformismo sessuale!” penso. Ed entro nel panico. Tra i gioiellini e pendagli vari non c’è niente che mi entusiasmi sul serio (non sono solito indossare oggettistica di questo genere, solo per Eva faccio un’eccezione) e trovo inutile comprare cose simili solo per metterle dietro ad una vetrina. Però quei portafogli… Posto che quello rosa non fa proprio per me, c’è quello bianco e nero. Se solo ci fosse un po’ meno Nana e un po’ più Black Stones nelle figure… Ok, sentiamo Sil se il suo giudizio un po’ più obiettivo e meno contagiato di “passione Nana” mi può essere d’aiuto:
“Ti sembra molto gaio quel portafogli per un uomo?”
“Oddio… in effetti un po’ sì.”
“Maledizione”.
Quando cambiamo capannone sto ancora facendo complicati calcoli mentali ed astruse deduzioni logiche che tuttavia non hanno nessun fondamento sociale.
Siamo giunti ai capannoni oblunghi, vicino al palco, dove più tardi dovrebbero suonare i Gemboy e Cristina D’Avena. Questi capannoni hanno ancora un indirizzo decisamente Giapponesistico. Mentre Sil razzola tra gli scaffali tra i fumetti in cerca dei suoi “Eden” e dei “20th Century Boys” che gli stanno a cuore, io sono ancora una volta ad armeggiare con i gingilli di “Nana”. Sto per cedere alla tentazione di comprare un pendaglino di Saturno (del quale non so cosa avrei mai fatto) quando l’occhio mi casca su un astuccino portamatite dei Black Stones. E’ anche RELATIVAMENTE unisex. M. si prende di gioco di me. “ti vorrei vedere ad andare a lezione e sfoggiare l’astuccio di “Nana” in università”. Ma casca male: anche volendo, quell’astuccio è troppo piccolo e a me piace andare in giro con la cartoleria. In effetti, a giorni di distanza non ho ancora deciso cosa mettere dentro a quel portamatite. Che comunque è tanto carino. Allo stesso stand hanno anche un cuscino di “Evangelion” molto simile a quello che ho già, comprato due anni fa sempre da questa arti. Sono già pronto con il denaro in mano quando chiedo quale immagine ci sia dietro quella frontale, che raffigura Asuka nell’entry plug dello 02. “Dietro è bianco” mi sento rispondere. Allorchè ripongo il denaro e proseguo nella mia ricerca. Sono comunque a due acquisti. Inizio anche io a razzolare tra i fumetti, guardando scaffale per scaffale, ripiano per ripiano e albo per albo. L’opera si dimostra lunga e laboriosa, tanto è vero che poco più tardi mi rendo conto di aver smarrito i miei compagni di viaggio. Ma che importa? Penserò a cercarli dopo aver finito di mettere a soqquadro il capannone. La ricerca, tuttavia, per quanto approfondita, non porta grandi frutti. Solo all’ultimo istante, prima di uscire dal secondo capannone, rintraccio presso uno stand di gadget, nell’unica pila di fumetti presente -nemmeno tanto grande-, due dei “Paradise Kiss” che mi servono. Sono il numero 8 ed il 10, quelli cioè che ho già e che dovrei ricomprare per sostituzione. Mi informo sul prezzo. Mi chiedono 5 euro per ciascuno. In effetti, non è prezzo troppo malvagio. Visto che tuttavia la probabilità di vederseli soffiare dalle mani è relativamente bassa, indugio ancora un po’ e passo a visitare l’ultimo capannone della fila degli oblunghi. Quest’ultimo padiglione è letteralmente strapieno e, per la prima volta, mi viene da lamentarmi di quanta gente sia improvvisamente comparsa alla mostra. Guardando l’orologio mi rendo conto che sono circa le 4, e che è plausibile che tale ora possa costituire il culmine del traffico umano. Con pazienza e qualche spintone mi faccio strada sotto il telo bianco, dove i miei occhi vengono subito catturati da un indumento con il simbolo de “l’Amico” di “20th Century Boys”. Se si fosse trattato di una t-shirt me ne sarei impossessato nel giro di un nano-secondo (i simboli esoterici mi affascinano), ma in effetti sembra più una magliettina per bambole, tanto è piccola. Uno dei ragazzi allo stand mi conferma invece che si tratta di una fascia, non di vero e proprio abbigliamento. Che altro avrebbe potuto essere in essere, in effetti? Alla domanda “Ma cosa ci potrei fare con una fascia de l’Amico?” non trovo risposta, quindi decido anche in questo caso che l’acquisto non vale la pena: il razzolamento continua. Finalmente un nuovo risultato: Lady Oscar n° 17. Preso in mano, lo ripongo al suo posto dopo aver letto che sono richiesti 8 euro per un fumetto che ne costava 2, che è esaurito ma del tutto snobbato dai collezionisti e che a me nemmeno manca, poichè servirebbe solo come rimpiazzo. Lasciamo perdere.
Ripreso fiato fuori dal capannone, mi guardo intorno in cerca dei mie compagni. La folla è immensa, ma dei due non v’è traccia: non rimane che contattarli via telefono. Quando ci riuniamo, Sil mi mostra fiero un piccolo ma graziosissimo diorama di Howl che è appena entrato a far parte dei suoi possedimenti (vero che era de “Il castello errante”, vero?).

Ok, and the next step is Lucca Games.
Per arrivare al capannone dei Games dobbiamo passare davanti al palco e attraversare le mura. In quest’ultimo tratto inquadro il cosplay che mi ha colpito di più in assoluto e per il quale mi sono detto: “i cosplayer sono proprio gente senza cervello… ED E’ PROPRIO PER QUESTO CHE HO STIMA DI LORO!”. Ci sono due ragazze vestite da Mozu e Kiwi (componenti della Franky Family di “One Piece”) che in barba a qualunque fenomeno atmosferico sfoggiano i completini dei due personaggi che sono poco più che costumi da bagno. Ed hanno un successo di pubblico clamoroso. Ovviamente.
Il mio occhio rimbalza poi sulla Gallardo della polizia, che non ha niente a che vedere con i fumetti, ma che comunque fa la sua bella figura. (100.000 km? Se, ma dove?).
Senza ulteriori indugi, varchiamo infine la soglia dei Games. Ai Games non cerco niente di particolare, sono 10 anni che ho smesso di giocare a Magic ed anche la mia collezione di manuali di GdR può dirsi più che soddisfacente. Tanto più che ho sentito solamente grosse lamentele (gentile eufemismo) relativamente alla quarta edizione di D&D e che, in ogni caso, non avrei nessuno con il quale fare beta-testing. Ciò non toglie, tuttavia, che una visita sia d’obbligo. Percorriamo inanzitutto il corridoio laterale est, dopodichè il piano prevede un po’ di sano ordine sparso. Alla fin fine il capannone games, benchè grandissimo, è quello che offre meno sorprese: come tutti gli anni, gli stand sono strapieni dei soliti dadi, manuali, giochi di carte, videogame e giochi di società. Il mio entusiasmo si sta quindi placando, salvo poi riaccendersi in un impeto improvviso: c’è uno stand che ha in esposizione un’intera batteria di portafogli dei mangetti più disparati (ma di successo). Da “Death Note” a “One Piece”, a “Naruto”, a “Nana” (e qualche altra serie che non conosco: dannazione, non sono più l’Ali che ero una volta!).
Dunque. La gadgettistica di “Death Note” è sparsa un po’ per tutta Lucca ed in quantità può competere tranquillamente con quella di qualunque altra serie più conosciuta presso il grande pubblico. Solo che io “Death Note” non lo reggo: primo, benchè non sia disegnato male, non vedo perchè dovrei trovare affascinante un stile così ordinario e compassato. Secondo: detesto la trama di questo manga. Odio i casini mentali (eufemismo) da due soldi che l’autore si fa nei primi tre numeri, odio il fatto che il suo successo sia costruito sul desiderio represso della gente che vorrebbe immedesimarsi nel protagonista, dotato del potere di uccidere le persone senza poter essere scoperto. Non vedo come potrei tollerare che un oggetto basato su tali presupposti possa entrare a far parte della mia grande fam… della mia grande collezione.
I portafogli di “One Piece” sono carini, ma non sono “stilosi”. Tony Tony Chopper è un personaggio super kawai (come si suol dire), ma potrebbe essere valorizzato al massimo da un peluche super-morbidoso, non dalla stampa di un portafogli. Per il resto, mi riallaccio quindi a quanto detto prima per la maglietta di Rufy. Il merchandising di “Naruto”… bè, io gli anime commerciali riesco a malapena a tollerarli (tranne “One Piece”, se non si fosse capito ^_^) e da quel poco che ho visto in quel cartone fanno solo a botte alla “Dragon Ball”. Mi hanno detto e ripetuto che non sa così, e io sto cercando di convincermene, ma inconsciamente provo ancora repulsione verso questa serie. Poi c’è “Nana”, ed è tutto diverso. Quando ho nuovamente sotto gli occhi la serie completa dei portafogli (ancora con questi portafogli?) sono colto da un raptus spendicida ed avrei voglia di cedere fino all’ultimo centesimo. Ma c’è quel maledetto fattore gaio…
Sempre più scoraggiato, proseguo la visita con i miei due compagni di viaggio. In fondo al capannone è stato allestito un ring ove stanno simulando la solita sfida di scherma con le armi di lattex. Ad arbitrare c’è il solito ragazzo in armatura di cuoio e pelliccia di lupo, a testimonianza di come certe cose non cambino mai. Io ed M. ci sentiamo vagamente fuoriluogo circondati dagli stand di quel settore (vale a dire le rappresentanze di associazioni di live e giochi di ruolo dal vivo). Personalmente ho sempre preferito una partita davanti ad un tavolo ed un narratore invece che andare a correre nei boschi come fossi un bambino di 8 anni e, per come lo conosco, M. è d’accordo con me: per quanto ci riguarda possiamo saltare a piè pari. Se non altro, non ci sono quei malati mentali del soft-air (giocare alla guerra è da spostati) e nemmeno quegli stand di armi che basano il loro bilancio sul deprimente senso di esaltazione dell’ego che la gente comune nutre nell’impugnare una verga di 180 cm. Voltata pagina, io ed M. continuiamo a guardarci intorno. Abbiamo perso Sil, ma niente ci trattiene dal cercarlo. Errando senza meta, la nostra attenzione viene catturata da uno stand presso il quale alcune persone stanno facendo dei personaggi con la nuova espansione di “World of Warcraft”, per sfidarsi in un piccolo torneo organizzato in loco. M., accanto a me, mi segue nell’azione di sputare un po’ di veleno: “già il gioco è straneante in sè, figurati giocarlo proprio qui…”. Tiè, tiè, tiè. Per quello che mi riguarda, io ed i videogame siamo su due pianeti diversi: non riesco ad applicarmi per più di tre giorni alla stessa attività videoludica, figuriamoci se potrei mai partecipare ad un’attività come “World of Warcraft” che per essere giocato degnamente ti succhia la linfa vitale.
Andando avanti nell’esplorazione, passiamo davanti al sempre bellissimo stand di Stratagemma e mi capita di incrociare nuovamente Joe Dever (autore dei “Lupo Solitario”, la cui lettura mi ha tanto allietato da bambino). Il nostro obiettivo tuttavia è lo stand della Nexus, dove sono ammassati scatoloni con loquaci cartelli del tipo “Tutto a 2 euro”, “Ogni cosa a 5 euro” e simili. A parte l’evidente vantaggio economico offerto da questo tipo di acquisti, gli anni passati sono sempre uscito da questo stand con qualcosa di carino in mano. La speranza è che l’occasione possa ripetersi. Ahimè, pare tuttavia, che la tradizione sia costretta ad interrompersi. Quest’anno, non ci sono manuali di GdR in offerta, ma solo scatole di giochi da tavolo. Io passo. M., invece, è un assiduo praticante e si intrattiene molto rovistando tra gli scatoloni ma anche la sua ricerca non porta frutti. Non avendo trovato niente alla Nexus, M. mi guida attraverso gli altri stand e nel mentre mi spiega i principi o le ambientazioni dei giochi che riconosce intorno a noi. Infine, i nostri sguardi si incrociano sorridenti sul manuale del GdR di Munchkin. Poco dopo riusciamo finalmente a recuperare Sil, il quale vuole anch’egli gioire della visione del manuale di Munchkin. Previo accontentamento di questo desiderio, ci chiediamo vicendevolmente se abbiamo fatto e siamo a posto anche con questo capannone. Una timida manina si alza però dalla parte di Ali, segno che costui vuole dire qualcosa.
“Mi date un consiglio su un portafogli?”.
Aridai con questi portafogli. Non so se si sia capito, ma è certo che se il sottoscritto si mette in testa una cosa è difficile fargliela dimenticare… Arresi alla mia testardaggine, trascino i miei compagni di viaggio allo stand che abbiamo visitato poco dopo essere entrati nel capannone: oramai sono deciso a tornare a casa con uno stilosissimo portafogli di “Nana”. Magari non lo indosserò mai, ma non posso lasciarmi sfuggire un oggetto così trendy e di buon gusto.
La questione è: “è meno gaio un portafogli nero, come un’immagine con Nana e Ren abbracciati con una cornicetta rosa, oppure un portafogli bianco con il viso di Nana sagomato di nero su scritte rosse?”. Potendo valutare i due articoli l’uno vicino all’altro, la riposta si fa ovvia: il secondo. In tale circostanza, quest’ultimo articolo sembra anche abbastanza unisex, o almeno quel tanto che basta al mio orgoglio maschile (oppure orgoglio da Nana-fan) dal non sentirsi violato al punto di farmi sprofondare ogni volta che dovrò impugnare l’oggetto. Dopo un momento di esitazione nella scelta dell’immagine, opto per una versione di Nana Osaki super-sorridente, preferendola ad una con sguardo languido. Eureka! L’acquisto è infine compiuto! E con questo anche un’altra voce della mia lista può essere depennata.
A questo punto, io ed i miei compagni abbandoniamo i games, decisi a procedere al recupero degli acquisti non svolti nel corso della mattina. Il primo che deve fare una tappa sono io (sono SEMPRE io). Ho infatti deciso che vale la pena portare a casa i due “Paradise Kiss” di poco prima. Sulla strada del capannone editori ci fermiamo nuovamente al secondo capannone oblungo. Mentre sto per varcare la soglia, biglietto e braccialetto già spianati, vengo preso per la collottola a mo’ di coniglietto e fermato: M. mi fa notare che Sil ha incontrato un suo vecchio amico e che sarebbe meglio non separarsi nuovamente. Bramoso di stringere i miei “Paradise Kiss”, io suggerisco tuttavia di ottimizzare i tempi: “Aspettatemi qui, io entro ed esco, so dove mettere le mani al mm”. Così accade, entro ed esco con gli shojo manga tra le mani, proprio mentre Sil trova il biglietto dopo quella che sembra una luuuunga ispezione al giubbotto.
A turbarmi non è quest’ultimo particolare, quanto la frase che esce dalla sua bocca un istante dopo, mentre già abbiamo ripreso la via: “hai visto Sam?”.
“…”
“Quello era Sam?”.
Capelli corti e pizzo. No, accidenti, ovvio che non ho riconosciuto Sam. E diamine, non l’ho nemmeno salutato! Non si fa così con gli attori che hanno lavorato per te, sciocco Ali. Ma oramai è tardi. Sulla strada del ritorno, notiamo una coda di persone che finisce su per il corridoio di quello che sembra un comunissimo palazzo. I nostri sguardi si fanno interrogativi. Alcuni metri dopo, un cartello ci spiega l’arcano: incontro con la produzione dell’anime di “Death Note”. Poste le considerazioni che ho fatto prima in merito a “Death Note”, decido di calare un velo pietoso.
Rieccoci infine al capannone espositori. A quel punto, non c’è più niente che mi vieti di procedere all’acquisto della copia di “Don Zauker” che mi sia stata commissionata e la cosa va in porto una volta per tutte. Accanto a me noto invece un gran trafficare: è Sil, che sta praticamente depredando lo stand ed impadronendosi di una copia di OGNI articolo in esposizione. Tazza di Don Zauker compresa. Ed io che non ho fatto nemmeno una piega davanti alla tazza della Nerv, trovandola proprio pacchiana… Ennesima prova di quanto siano strani i collezionisti. Allo stand del Vernacoliere, abbiamo poi la fortuna che ci siano Caluri e Pagani, rispettivamente disegnatore e sceneggiatore dello stesso “Don Zauker”. Sil decide di fari autografare la sua copia dell’albo e suggerisce che anche al mio committente la cosa farebbe piacere. Sempre per ottimizzare i tempi, affido la “mia” copia del fumetto a Sil -che nel frattempo si è messo in fila- e decido di tornare allo stand Dynit per concludere l’acquisto valutato la mattina. Compro così il cofanetto di “Tenchi Muyo” e rinuncio invece a quello di “Kenshin”, i cui episodi sono ancora abbastanza vividi nella mia memoria. In merito a “Tenchi”, invece, colgo l’occasione dell’offerta per obbligarmi a vedere la serie completa dall’inizio alla fine e per liberarmi della pasticciatissima versione autodidatta che mi sono confezionato.
Quando sono di ritorno al Vernacoliere ho una piccola ma disdicevole sorpresa: la fila non si è mossa di un mm e Sil ha deviato per farsi autografare il libro di poesie (!), invece che “Don Zauker”. Quando ha terminato, ci rimettiamo in fila nella colonna giusta, ma la lentezza degli artisti (che disegnano un’intera vignetta come omaggio ai fan) è esasperante e la nostra pazienza termina molto prima.
Non ci resta che andare.
Quando ci troviamo fuori dal capannone siamo ad un punto di svolta. Nel corso del giorno ho guidato il gruppetto a memoria, portandolo nei punti in cui ricordavo ci fossero stati dei capannoni anche gli anni precedenti. Solo che quest’anno ci sono giunte voci di una capannone in cima alle mura, che tuttavia nè io, nè Sil, nè M. abbiamo idea di come raggiungere: ci serve una mappa. Ma dove trovarla?
Non so come, ma Sil identifica una gigantografia della città disegnata sul telo del capannone al quale, proprio in quell’istante, stiamo dando le spalle. La valutazione della cartina ci da un brivido di piacere ed insieme di terrore: ci sono ancora tre capannoni da visitare. Nessuno dei tre, in realtà si trova al di sopra delle mura, ma uno, il più lontano, è situato all’interno di una specie di anfiteatro. Forse c’è stata qualche inesattezza nella trasmissione delle informazioni.
Ma in fondo, perchè stare a perdere tempo? Dopo aver stabilito una rotta ci rechiamo al primo capannone senza ulteriori indugi, capannone che si trova dietro al palazzo delle esposizioni. Il locale è piccolo e, vuoi per l’ora tarda, vuoi per la posizione scomoda da raggiungere, vuoi per il fatto di essere una novità, è quasi vuoto. In pratica l’abbiamo tutto per noi. Io mi perdo da subito nell’analisi di ogni singolo cm quadrato di fumetti e ciarpame di vario genere. Tra i fumetti non c’è niente di quel poco che sto ancora cercando, ma presso uno stand l’occhio mi cade su un’interessante borsa con una bella immagine di “Tsubasa Chronicle”. A fermarmi dal procedere all’acquisto è solo il fatto che l’immagine provenga dall’anime e non dalla sublime mano della suprema maestra di disegno artistico manga Mokona Apapa. Non avrei esitato un solo istante al pensiero di una borsa con un disegno della mia mangaka preferita in assoluto. Pochi metri più avanti godo però di un piccolo riscatto: c’è uno stand che espone e vende quasi solamente poster e sembra proprio il posto giusto dove potrei trovare ciò che mi serve. Rovistando nell’espositore dei poster, trovo con grande soddisfazione un’immagine che fa esattamente al caso mio: si tratta di una tavola a colori con soggetto ancora una volta di “Tsubasa Chronicle” in cui i personaggi della serie son vestiti per Halloween. Che piacevole coincidenza! L’immagine, oltre ad essere simpatica e a sviluppo orizzontale, è una sapiente creazione della mano di Mokona Apapa e come tale raggiunge i vertici artistici dei miei gusti in termini di colori, eleganza e fascino del tratto. In pratica, c’è scritto il mio nome sopra.
Il mio tubo accoglie quindi il cartoncino e, visto che non so resistere al fascino della disegnatrice di Clamp, lo accompagno con un secondo posterino altrettanto affascinante. Non so dove metterò quest’ultimo, ma potrei togliere dalle pareti qualcosa e sostituirlo con questo nuovo concentrato di alta scuola grafica giapponese. L’unico problema è che in camera mia il tema manga sta diventando piuttosto monotono in termini di autori: passo dopo passo, si sta improntando tutto a Clamp.
Comunque, le sorprese in questo capannone non sono ancora finite. Ad un altro stand acquisto un altro portafogli: oramai sono fuori controllo. No, in realtà sono portato a questa nuova spesa (veramente modesta) solo perchè l’immagine di alcuni personaggi che è stampata su un lato del portafogli mi ricorda tantissimo lo stile di Hiroyuki Utatane (l’altro mio disegnatore preferito, l’unico artista che reputo alla pari di Mokona). Nel dubbio, meglio non rischiare di lasciarselo sfuggire.
L’ultima sorpresa del capannone non riguarda alcun articolo in vendita. In uno spazio leggermente appartato del plesso è stato ottenuto un palco non troppo grande sul quale è stata a sua volta allestita una postazione di karaoke. Un gruppetto di ragazze si sta infatti cimentando con la sigla storica di Fiorellino Giramdondo. Nel frattempo una piccola troupe sta effettuando riprese ed una gruppetto di persone sta assistendo divertito allo spettacolo. In quel momento, i miei occhi cercano i miei compagni di viaggio, che tuttavia sono scomparsi per l’ennesima volta, probabilmente a causa della lungaggine con la quale anche stavolta ho passato in rassegna ogni singolo scaffale dello stand. Fortunatamente lì ritrovo a pochi passi dall’uscita del capannone. A quel punto non mi rimane che buttare l’amo: “andiamo a cantare anche noi al karaoke? Dai, dai, dai!”. Ma niente, non ne vogliono sapere. “Ecco, lo sapevo…” esclama Sil con rassegnazione. “Se vuoi, noi veniamo a batterti le mani” aggiunge. No, grazie, il karaoke in solitaria lo posso fare anche a casa mia, mi piacerebbe che andassimo tutti e tre. Ma resterà un sogno irrealizzato, sono insieme a compagni troppo timidi ^_^ . E tramortirli non li aiuterebbe a cantare.
Riprendiamo la strada per il capannone successivo. In fondo a destra, 100m sulla sinistra, ultimo incrocio laggiù in fondo e zac, eccoci alla penultima tappa della nostra giornata. Tappa che tuttavia è veramente breve: gli stand sono solo 8 e di questi la maggior parte sono di illustrazioni fantasy ed editori secondari. Tiriamo quasi dritto, complice il fatto che anche in questo caso non abbiamo praticamente incontrato nessun’altro visitatore. “Ah, maledizione ed ora in tutto questo casino, come facciamo a ritrovare M.?” ironizzo, quando M. ha praticamente una mano sulla mia spalla.

L’anfiteatro, infine. Dopo due minuti di cammino, sulla strada in linea retta rispetto al precedente capannone, giungiamo ad una porta di tipo simili-medievale. Varcata la soglia, constatiamo che in effetti l’ultimo capannone è ospitato proprio al centro dell’arena di un piccolo anfiteatro. Siamo tuttavia piuttosto stanchi ed i nostri pensieri sono rivolti esclusivamente alla visita dell’ultima parte della mostra. L’ultimo capannone ospita quasi per intero stand dedicati ai fumetti, in larga parte giapponesi. Per l’ultima volta nel corso della giornata io attivo il mio scanner biometrico ed inizio a passare in rassegna ogni piccolo cm di qualunque scaffale in cerca di qualche fumetto giapponese d’interesse. Quando nell’opera di perlustrazione mi imbatto in uno stand dedicato interamente a materiale hentai, tiro dritto con noncuranza fino al ad un tavolo posizionato pochi metri più avanti che brilla di costolette colorate: sono manghetti. Tantissimi. Per l’ennesima volta, nell’ottica commerciale della fiera, l’espositore ha deciso di puntare il tutto per tutto sui fumetti giapponesi. E fa bene: lungo una delle pareti scorgo le costolette viola di “Lady Oscar” Panini. Seguendo con il dito la sequenza dei numeri degli albi, identifico con sommo gaudio un numero 14, che una volta estratto si rivela anche in ottimo stato di conservazione. A quel punto l’interrogativo è: ma quanto mi verrà richiesto per l’acquisto? Il commerciante invece è abbastanza onesto e con 3 euro riesco a concludere la trattativa. Che bello, con questo ho chiuso “Lady Oscar”! Chiedo allo standista se per caso, magari non esposto, abbia una copia anche del numero 17, ma una vocina dalle sue spalle garantisce che non ne sono rimasti. Peccato. Allo stesso stand identifico anche una pila di “Eden”. Mi giro pertanto in cerca dei miei compagni di viaggio dai quali ho finito per separarmi ancora una volta, ma, come nei casi precedenti, essi non sono direttamente a vista. Poichè il capannone è quasi vuoto, bastano tuttavia pochi passi ed un gesto per farsi rintracciare da loro (o per rintracciarli). Li trascino nuovamente sui miei passi e Sil punta il dito sugli “Eden”, esattamente come ho fatto io pochi istanti prima per i “Lady Oscar”. Quando ha finito, si rivolge verso di me, sorride, e disegnando una sorta di omega con il dito, dice: “Uno, due, tre, quattro, (vetta dell’omega), sei, sette…”. Ciò significa che evidentemente non ha trovato quello che cercava. Chiede anche dei numeri 9, 10 ed 11 di “20th Century Boys”, ma il commerciante cerca di vendergli l’ultimo di questi tre ad un prezzo non proprio di favore e quindi non ci rimane che salutarlo.
Dopo aver concordato che la visita a Lucca Comics & Games 2008 può dirsi conclusa, ci dirigiamo verso l’uscita del capannone. Sulla soglia, tuttavia, ho un ultimo flash. Tornando sui mie passi, mi dirigo stavolta allo stand di materiale hentai, sui tavoli del quale sono ospitate non meno di sei casse di doujinshi. Di guardarle una per una non se ne parla proprio, anche perchè ho in mente una cosa ben precisa. Non mi rimane che chiedere al ragazzo dello stand: “Scusa, avete doujinshi di Utatane o del circolo Uroboros?”. Al chè il ragazzo mi osserva ed esita un momento con gli occhi piantati su di me. Inizio a comprendere, come è ovvio in questi casi di stand di materiale straniero di importazione, che quello non parla una parola di italiano. Al termine di un secondo di sospensione in cui sta ripassando mentalmente la mia frase, identifica probabilmente i sostantivi chiave della mia richiesta: “doujinshi”, “Utatane” e “Uroboros”. Dopo aver esordito con un “Ah!” mi fa cenno con il dito puntato in alto ed in movimento verso di me di aver compreso la mia richiesta. A quel gesto, i miei occhi si accendono di entusiasmo: “potrò collezionare una doujinshi originale del Maestro proveniente direttamente dal Comiket!”. Sono già al settimo cielo. Il ragazzo inizia a scartabellare con sicurezza in una delle ceste ma, dopo aver cercato per alcuni secondi senza risultato, si arrende definitivamente. A quel punto gli esce dalla bocca un “Maybe not” ed il mio entusiasmo va in mille pezzi nel giro di un battito di ciglio. Lì per lì non mi resta che ringraziarlo, deluso fino all’ultimo centimetro del mio dito mignolo, e recuperare i miei due compagni, con i quali dirigermi nuovamente verso l’auto.

Alle 19 e 15 stiamo imboccando una serie di strade con strategia sostanzialmente casuale. Ho un’idea abbastanza precisa della direzione da intraprendere, quindi guido il piccolo gruppetto attraverso una serie di strade, vie, e vicoletti vari indirizzato solo da un simulato senso di confidenza geografica. I commenti su Ryoga Hibiki si sprecano. Il resto della conversazione è improntatao ovviamente su un bilancio della giornata, spese, acquisti, cose non trovate, gradite sorprese e spiacevoli delusioni (una in particolare). Osservo come sia la prima volta che faccio così tardi a Lucca: sono le 19 passate e siamo ancora lì. Tutti gli anni precedenti alle 17 avevamo già tolto le tende, principalmente per ragioni di scarsa tempra del fisico. Quest’anno, invece, il ritardo iniziale ha probabilmente fatto slittare ad alcune ore più tardi la finestra temporale della nostra permanenza presso la fiera. L’ultimo punto della conversazione verte sul proseguimento della serata: che si fa, una volta tornarti a Firenze? Una delle proposte più allettanti è la visione della “Rebuild” di Evangelion, giacchè si potrebbe dire che i tre presenti costituiscono la vera e propria concretizzazione della “Commissione per il Perfezionamento”, tale è il livello di passione che nutrono nei confronti dell’opera di Anno e tale è il tempo che hanno speso per cercare di apprendere (e comprendere) tutti i suoi segreti. Improvvisamente, a riportare la conversazione sul tema del “dove ci troviamo” è la comparsa della porta alle mura, chiaro segno che il perimetro della città è raggiunto. Ma tale non è la porta dalla quale siamo entrati. Dobbiamo quindi piegare a Nord-est mirando alla porta che abbiamo varcato nel corso della mattina, onde recuperare i riferimenti necessari al ritrovamento dell’auto parcheggiata. Nel corso di 5 metri lineari -la profondità delle mura- il tempo ci gioca un ultimo, brutto scherzo: inizia a piovere con discreta intensità. M. estende al massimo i lembi del suo giacchetto per coprirsi al meglio, io estraggo l’ombrello dallo zaino e ospito il secondo uomo nella metà libero del cerchio. Il nostro passo, a quel punto, si fa più spedito. Si tratta di costeggiare le mura fino alla porta successiva, come dicevo prima, quella a pochi passi della quale abbiamo parcheggiato. L’opera, purtroppo, non è tanto semplice: benchè non ci siano più tutte le macchine parcheggiate della mattina, i marciapiedi non asfaltati di Lucca si stanno velocemente trasformando i veri e propri pantani acquitrinosi. E non smette di piovere. La nostra delusione è grande, quando giunti alla successiva porta nelle mura ci rendiamo conto di non essere nel posto nel quale abbiamo sperato di arrivare. D’altro canto, l’unica soluzione è andare avanti cercando di essere ottimisti: non può mancare molto alla macchina. La pioggia continua a battere senza il minimo cenno di voler diminuire d’intensità. Quando arriviamo alla porta successiva la delusione si trasforma in un vero e proprio senso di preoccupazione: antistante la porta c’è una rotonda che non ci dovrebbe essere.
Ci arrendiamo: dobbiamo ricorrere al navigatore. Dopo aver trovato un modesto riparo sotto un balcone, davanti alla vetrina di una banca (“ci manca solo che ci scambino per rapinatori” penso), io ed M. estraiamio i GPS. A causa della spessa coltre di nubi, il mio non ne vuole sapere di agganciare un numero sufficiente di satelliti per indicarci la nostra posizione. L’iPhone di M. invece (sia gloria all’iPhone) riesce a portare a termine il fix e con somma indifferenza ci sbatte in faccia la cruda realtà: siamo completamente fuoristrada. Via Piave, strada dove si trova la macchina, è almeno tre porte PRIMA rispetto all’incrocio all’altezza del quale ci troviamo. Prima. Non dopo. Fioccano imprecazioni silenziose. Se c’è una piccola consolazione, essa sta nel nome della via: l’idea di annotare il nome di “Via Piave” è stata una grande prova di consapevolezza di sè. Cosa sarebbe potuto accadere se il terzetto non avesse letto il nome della strada, o peggio, se lo avesse dimenticato? Tra un’esclamazione di stanchezza ed un’altra di scarsa sopportazione, riprendiamo la strada in senso inverso. Ogni metro che percorriamo è un cm in più dei nostri abiti che si bagna.
Dopo una ventina di minuti circa riconosciamo la porta delle mura dalla quale siamo usciti quasi un’ora prima. Nessuno se la sente di fare commenti. Evidentemente, invece che piegare a sinistra era necessario piegare a destra, verso Sud. Teniamo duro ancora per dieci minuti ed alla fine la nostra costanza viene premiata: stavolta la porta è quella giusta.
Quando arriviamo alla macchina sono le 20 e 15 circa: è passata un’ora da quando abbiamo lasciato l’ultimo capannone. Pensare che abbiamo impiegato un’ora per un rientro sotto la pioggia che avrebbe potuto rubarci non più di quindici minuti è terribile, ma ciascuno di noi è troppo impegnato a riprendersi ed a ristabilire il proprio equilibrio psicofisico per lamentarsi: mai i sedili di un’auto sono sembrati tanto confortevoli come in tale circostanza, mai il lieve tepore emesso dalle bocchette di ventilazione della vettura è stato in grado di riscaldare con tanta gioia lo spirito di tre povere anime in pena.
Lungo la strada, prima di imboccare la A11, c’è ancora un po’ di traffico e si procede a passo d’uomo, ma nessuno si lascia andare allo sconforto: almeno abbiamo un riparo sopra la testa con il quale difenderci dalla pioggia.
Una volta in autostrada inserisco la quinta e con tutta la rilassatezza del mondo riconduco la Commissione a Firenze.

Verso le 21 e 45 io ed M. siamo seduti al tavolo di un ristorante cinese in Piazza Dalmazia. Sil, che abita a pochi metrì da lì, e salito in casa a cambiarsi poichè è anche quello più bagnato di noi tutti. Quando ci raggiunge ordiniamo qualcosa e consumiamo il frugale pasto. Il primo uomo, tuttavia, sente la testa che sta letteralmente per esplodergli e quindi abbandona qualunque proposito per il dopocena. Dopo aver preso una sorta di vaghi accordi per il giorno successivo si congeda dai restanti membri della Commissione e rivolge frettolosamente il muso della sua auto verso casa. Qui, si infila sotto le coperte a tempo di record e cade in un sonno ristoratore nel più breve intervallo di tempo che egli abbia mai misurato. Non ha nemmeno la forza di compiacersi dei propri acquisti.
Ma il giorno successivo non farà altro che sfoggiare il suo portafogli di “Nana”.

8 Commenti a “Lucca 2008 – Marduk Report”

  1. Lelir scrive:

    Ah, la mitica Lucca… Mi ricordo quella fiera come una vera bolgia, forse perché ebbi la brillante idea di andarci nel fine settimana (gran furbata davvero!), e per di più avevo anche un budget squallidamente limitato… Comunque è un’esperienza da fare, almeno una volta nella vita di un mangofilo, secondo me.
    Com’è andato con il portafogli di Nana? E’ risultato molto ‘gaio’? Per me hai fatto strabene a comprarlo, perché hai gusto e ne avrai trovato sicuramente uno sobrio e abbastanza del’unisex ^^
    Volevo anche chiederti: t’intendi di computer Mac? Cosa ne pensi?
    Buon tutto e…
    Bye bye!

  2. Ali scrive:

    Mi ricordo di quella volta, Comandante. E’ stato precisamente dieci anni fa, giusto? Comunque è cambiato tutto da allora -metti solo che la mostra ora è in città- e con una serie di accorgimenti è possibile godere della fiera in modo più che adeguato. Dovremmo organizzarci per una visita come Dio comanda per i prossimi anni, che dici? Così ti mostro di persona il mio portafogli (ahahaha).
    Proprio sobrio ed unisex non lo è, però più lo guardo e più mi piace: al diavolo il resto.
    Magari ne posterò un’immagine, tanto per darmi un altro po’ di arie. ^_^

    P.S. Per quanto riguarda i Mac, io lavoro quasi solo con quelli e li trovo insostituibili.
    Passi al MacBook Comandante? Ottima scelta! Se hai dubbi o pensi che ti possa essere d’aiuto non hai che da chiedere, anche via mail.
    A presto.

  3. Lelir scrive:

    Ali, non è stato dieci anni fa, bensì cinque: era il 2003 e avevo appena consegnato la tesi (ecco perché me lo ricordo così bene ^^), ma comunque approvo in pieno la tua proposta di ‘luccare’ i prossimi anni – ho ancora un paio di amiche moollto mangofile, anche più di me – perché vorrei rifarmi di tutti questi anni di budget limitato e ritrosia nei confronti dei gadget (santoddio, che male c’è a comprarsi un portachiavi un po’ vistoso, ogni tanto?!) *-*
    Per quanto riguarda i Mac, ci sto meditando seriamente, ma ci sono due cose che mi frenano: il mio portatile (con l’osceno Vista installato) ancora va bene, benché s’impalli almeno un paio di volte a settimana, e il passaggio a un SO Unix mi preoccupa un po’ (…settimane di di grattacapi con Ubuntu!!!).
    Buona giornata, ciauuu!!!

  4. Ali scrive:

    Eh, 10 anni o 5 anni, fa lo stesso, stai a guardare il capello! (Chissà però come mi è venuta questa dilatazione temporale… Boh!).
    Comunque, se la proposta di un nuovo Lucca rendez-vous è approvata, io mi annoto mentalmente la cosa e faccio in modo di avvertirti alle varie scadenze. Magari con uno scarto di circa cinque anni potrei anche riuscirci. 🙂
    Per i Mac, le tue preoccupazioni sono infondate: Mac OSX ha la fruibilità di Windows ed una semplicità d’utilizzo ancora superiore (cosa che ad Ubuntu in effetti ancora manca). Per non parlare della sicurezza. In secondo luogo, OSX è “studiato” per adattarsi perfettamente all’hardware Apple, cosa che lo diversifica dai vari Linux, che devono ambire alla compatibilità meccanica assoluta (pur non riuscendo appieno a soddisfarla, evidentemente). Immagina la stabilità grazie a questi presupposti!
    Se poi il tuo portatile va ancora bene, hai pensato ad un Mac fisso?

    P.S. La mia politica sui gadget vistosi oramai la conosci: basta che testimonino del buon gusto, tutto il resto passa in secondo piano. Non sei d’accordo?

  5. Lelir scrive:

    Buondì, carissimo!
    Secondo me con un preavviso di mezza decade dovremmo farcela a organizzare per Lucca 😀
    A parte gli scherzi, ogni quanto si tiene?
    Per finire con il cambio di SO, ho deciso che, finché il pc che uso ora non mi fa inferocire definitivamente, me lo tengo; intanto metto da parte il gruzzolo per un MacBook futuro, perché se il cambio avverrà, sarà senz’altro per un altro portatile.
    La politica del buon gusto mi pare cosa buona e giusta, troppo spesso la vediamo trascurata dagli altri.
    Buon tutto e a presto!!!

  6. Ali scrive:

    Scusa il ritardo comandante, ho avuto un po’ di cose ingombranti alle quali pensare.
    Lucca è tornata semestrale dallo scorso anno, ma l’edizione primaverile è più che altro espositiva e dedicata all’antiquariato. Insomma, la vera festa si tiene in Ottobre. Che vuoi che sia… mancano solo 337 giorni alla prossima edizione.

    Per il portatile, sai che anche il mio venerando (Mac) Powerbook sta tirando il calzino? Però vorrei tanto sostituirlo con un Mac touchscreen, che tuttavia, al momento, neppure esiste. Uffy, ecco cosa succede quando uno è troppo avanti. ^^’

  7. Lelir scrive:

    Eh eh, tu sei sempre stato troppo avanti ^^
    A parte gli scherzi, non ho idea di quando introdurranno una tecnologia simile, ma intanto potresti ‘accontentarti’ dei nuovi MacBook che, a quanto si dice, sono delle belle bestie. Per quanto riguarda il mio dilemma computereccio, credo che mi terrò questo portatile con Vista ancora per un po’, perché mi ripugna cambiare pc dopo appena un anno e perché il vile denaro non lo prendo dagli alberi, quindi do la priorità ad altre cose ^^;
    Tornando a Lucca, cerco di organizzarmi per la prossima edizione autunnale, perché mi manca un po’ una bella zingarata come ai vecchi tempi, tra manga, treni in ritardo e folle apocalittiche…
    Ora ti devo lasciare, il lavoro incombe.
    Buona giornata e a presto!!!

  8. Ali scrive:

    Si, questi nuovi MacBook sono dei veri mostriciattoli, ma in fondo sono solo una versione rileccata e potenziatissima del mio vecchio PBook. Io invece voglio varcare le soglie del futuro! Mi sa che dopo anni tornerò su un PC Windows, ma in versione tablet multitouch (che pure costa meno del MacBook e sul quale cercherò cmq di far girare OSX, tanto per avere capra e cavoli 😛 ).

    P.S. Non so se dopo un’ora di camminata sotto la pioggia battente come abbiamo fatto noi rimpiangeresti altrettanto la tua bella zingarata. Però si, anche a me manca il baccano di sette persone stivate in un’unica macchina sull’autostrada per Lucca. ^_^ Ed il quieto silenzio delle stesse persone sulla strada del ritorno. ^__^

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