Tra un budino e l’altro, tutti consumati rigorosamente a computer, mi capita talvolta di dare spazio anche a qualche film trasmesso in televisione.
Scelto con un minimo di cura, ovviamente.
Ho visto “Spanglish” di James L. Brooks.
Se questo post dovesse essere una specie di motivo pubblicitario, potrebbe riassumersi in una frase del tipo: “Un Adam Sandler come non lo avete mai visto”. In realtà, un Adam Sandler come forse non l’avevo mai visto io personalmente, abituato a pensarlo l’interprete per antonomasia del ruolo di bambinone sguaiato, perennemente calato in situazioni di autoironia chiassona, sempre in bilico tra il comico brillante ed il tragicamente ridicolo. In Spanglish invece il faccione innocente di Sandler è uno straordinario complemento ad un personaggio riccamente caratterizzato da pacatezza riflessiva, consapevolezza umana ed affetto familiare. “Caratterizzazione” è un fattore tenuto conto anche nei confronti di Tea Leoni, alla prova con il ruolo politicamente scorretto di adulto (Deborah) totalmente incapace di svolgere il ruolo di madre, e di tutti i personaggi della commedia, a dimostrazione che c’è ancora qualcuno in grado di valorizzare l’esponente di un genere quantomeno inflazionato di sottoprodotti televisivi.
In un film che non vuole essere solo “azioni e parole”, sono particolarmente lieto di fare cenno anche ad alcune piccole situazioni di contorno, ma dal tocco cinematograficamente quasi poetico: l’inquadratura dei piedi che esitano prima di toccare il pavimento (metafora per l’azione di tornare alla realtà dei problemi familiari), Christine che totalmente incurante di quello che le sta accadendo intorno perpetra la raccolta dei vetri colorati e Deborah, che vince la sua battaglia nei confronti della cabriolet e dei capelli al vento.
A rendere tangibile -e non frutto di pura speculazione- l’evoluzione del rapporto tra Adam Sandler (John) e Paz Vega (Flor), il loro avvicinamento e la progressiva apertura di quest’ultima, il grado con la quale ella fa progressi nell’apprendimento dell’inglese (americano), descritto con la chiara efficacia di una specie di indicatore a frecce per ascensori: piano terra, Flor che rifiuta qualunque forma di contatto; primo piano, il “coraggio, provatelo!” che rompe le prime barriere; secondo piano, dopo il litigio con John, Flor che decide di imparare l’inglese (l’americano); terzo piano, il cosiddetto livello dei “bambini di due anni”; quarto piano, il completamento ed i saluti.
A coronare il tutto, un buon finale costruito non in funzione di un trucido lieto fine, ma nel pieno rispetto della caratterizzazione dei personaggi, perfetto per mettere a fuoco il messaggio del film, la problematica che ruota intorno alla prima scelta di vita importante di Christine: “xxxx essere xxxxxxx da xx?”.
Vorrei tanto che il livello qualitativo di questo film fosse non dico il minimo, ma almeno il medio del genere commedia… Invece sono qui a stendere questo post come stessi parlando di una perla rara.