L’altra settimana sono stato al mare in moto, con la sorellina sulla sella del passeggero: siamo venuti giù da Volterra ad un ritmo micidiale.
L’ho capito con un po’ di ritardo, ma all’inizio la sorellina visualizzava nella mia SV una specie di Taxi. Ho dovuto spiegarle che prendere la Firenze-Pisa-Livorno era assolutamente fuori discussione. Tuttavia, una volta arrivati al mare ha capito le mie ragioni, ed anche troppo bene: al ritorno non solo ha rifiutato un passaggio in macchina, ma è voluta tornare ancora per la Volterrana.
Era nell’aria che quest’anno sarebbe stato quello del cambiamento, per tante questioni spiacevoli: la moto ferma, che dopo l’ennesimo letargo non vuole saperne di ripartire, gli ottomila tentativi per farla andare in moto, la mancata revisione ed il non superamento della stessa. Ma anche per tante circostanze positive: il desiderio ardente come non mai di salire in sella, l’acquisto di tuta completa, guanti, stivali, e la voglia di andare ad infastidire nientemeno che il toro che dorme (la 990).
Ed infatti, dopo aver sciolto tutti questi nodi, ecco d’un tratto arrivare la consapevolezza che ogni cosa costruita fino a queste due ultime uscite, in cinque anni di Suzuki e 10.000 km di strada, è servita solo per prepararti a godere appieno di esse. E che prima non avevi nemmeno la seppur vaga idea di che valore avesse un giro in moto. Ma neanche di che valore avessero un paio di gomme nuove, che fanno la gran parte del lavoro sporco.
Da Suzuki |
Giretto classico, quello del fine settimana: Croci di Calenzano, Passo della Futa, Passo della Raticosa, Passo del Gioco, Bilancino e ancora le Croci. 150 km circa di strada.
Il tratto delle Croci è veramente divertente. Ci sono ottime curve, sia strette che più veloci, e la visibilità è discreta. Purtroppo c’è sempre traffico, un po’ come sulla Bolognese.
Sul Passo della Futa il traffico, quello automobilistico almeno, scompare per una decina di curve. Ad un incrocio, e ad un semaforo rosso di lavori in corso, si forma invece una coda di moto come non ne ho mai viste prima: ci saranno almeno venti persone in tuta, ciascuna ferma con la folle innestata. Quando scatta il verde, lungo la strada si forma un lunghissimo serpentone che piega quasi esattamente in sincrono: sembra di vedere un’inquadratura del motomondiale. Dopo un paio di curve nel serpentone, mi rendo conto che sono troppo condizionato dal suo ritmo e dalle sue traiettorie. Ma io voglio fare da me: “visto che sarà difficile che riesca a superare tutti e a stare davanti ad una R1, meglio lasciarli andare”. Non ho idea della sorpresa che mi è riservata per fine giornata, e accosto su bordo strada. Quando il serpentone è andato, riprendo a salire lungo i tornanti per conto mio. Per strada incontro una Hornet che si sta arrampicando nella mia stessa direzione. Il suo ritmo non è proprio fermo, ma non sembra nemmeno troppo sicuro.
La settimana scorsa, salendo verso Volterra abbiamo distanziato una Fazer 1000 all’andata ed una XT660 X al ritorno. Questa volta è il turno della Honda: al primo rettilineo che si presenta tiro la quarta e, dopo pochi metri, la Hornet non è già più nei miei specchietti.
I numeri parlano chiaro: le Metzeler nuove, oltre a chiamare in causa una bella dose di sicurezza aggiuntiva, hanno alzato il mio ritmo di almeno 30 km/h.
Però più avanzo più fa freddo: arriva un vento sempre più gelido che filtra persino attraverso la tuta, il casco si appanna ad ogni respiro ed i polpastrelli delle dita si irrigidiscono. Ma di diminuire il ritmo non se ne parla e una sosta non è lontanamente contemplata. Apro la visiera del casco di uno scatto e una lama di aria fredda mi arriva sul volto, ma è il prezzo da pagare per non guidare alla cieca.
Lungo la Raticosa la temperatura si fa fortunosamente più accettabile, ma il tratto viene bandito da ogni futura escursione: l’asfalto è in pessime condizioni, pieno di crepe, toppe e cosparso ovunque di brecciolino. Per arrivare a Firenzuola dovrò programmare un altro itinerario. Lasciato quest’ultimo paese nel giro di pochi secondi, mi ributto fra i tornanti del Giogo, dolci e seducenti come non mai. Qui un Divertimento ancora più Vero del solito ha inizio: sempre più in confidenza con la tenuta delle mie gomme, mi rendo conto di stare GUIDANDO per la prima volta. Che il pif-paf si sta veramente concretizzando sotto le mie ruote, curva dopo curva. Che imparare ad abbracciare il serbatoio ha avuto un senso. Che ho miliardi di km per maturare ulteriore esperienza, ma che metto in pratica tutto quello che so con naturalezza e disinvoltura. Che giro stretto e pulito come non mai, con traiettorie da Tetsuya Harada. Che avrei voglia di non fermarmi mai più. (Tranne che per andare in discoteca la sera stessa, ma questo è un altro discorso).
Infine, chiudo il giro ripercorrendo in senso inverso la strada dalla quale sono venuto. Lungo le Croci incontro nuovamente quella Hornet che un paio di ore fa stava salendo con me verso la Futa. E’ in compagnia stavolta: dopo averla superata mi accorgo che ad aprirgli la strada c’è una R1 MY 2007. Un suo amico, probabilmente. Ringalluzzito dall’aver preso strada alla Hornet ancora una volta, valuto se andare a passare anche l’R1 non costringa a tirarmi troppo il collo.
E qui si apre una nuova dimensione.
Da Moto |
Una YZF-R1 ha cavalli praticamente da ferma. E’ una specie di Mostro della categoria Supersport, per dirla in termini più familiari. Superarla lungo un rettifilo è pura fantascienza, almeno per una SV. Ma in curva siamo tutti uguali: dalla RS 125, alla BMW S1000 RR. Quando vedo che mi mancano circa 100 cavalli per prendere strada alla Yamaha, mi attacco alla sua targa. Io so che in quel momento lui si accorge di me e che capisce alla perfezione cosa ho in mente. E la cosa gli piace da morire, lo gratifica alla follia. Da una curva all’altra inizia infatti a prendere traiettorie sempre più larghe e tonde, da manuale. Va giù in piega che è un piacere, sfrutta ogni singolo cm di gomma che può mettere a terra e asseconda il tutto con una postura in sella quantomeno perfetta. Si vede benissimo che non ha voglia di forzare, ma solo di concentrarsi sulla strada. Di esibirsi un po’, insomma, con misurata e composta sfacciataggine.
Ma io non sono da meno e lui non deve insegnarmi niente: il mio obiettivo è la concentrazione sulla guida quanto lo è per lui. Perché anche io, adesso, so sfruttare ogni cm di asfalto e finalmente ho delle gomme che possono permettermi di mettere il ginocchio a terra. Posso girare tondo quanto voglio, toccare la linea di fine corsia, prendere la corda sulla mezzeria ed uscire di nuovo sulla striscia bianca, aspettando solo che arrivi un’altra curva, sulle cui strisce io possa nuovamente mettere le ruote. In piega i cavalli non servono a niente e le curve non fanno distinzione tra me e e lui: dove la R1 passa a 90 Km/h, io passo a 90 Km/h. Dove lui frena, io freno. Dove lui apre, io apro. Andiamo ad un ritmo esattamente sovrapponibile. Non è una sfida, io non devo dimostrare di essere più bello o bravo di lui, lui non deve dimostrare di avere 100 cavalli più di me. E’ una passeggiata: io sto guidando, lui sta guidando. Io mi diverto, lui si diverte. C’è altro?
Mi tornano in mente le parole di Fabietto: “I gusti non contano un caxxo”. Potenza, marca, interasse, alimentazione, aerodinamica e quant’altro sono solo amenità, conta solo il tuo spirito: prendere le curve con il ginocchio a terra.
Quando arriviamo in cima alle Croci, vorrei lasciagli un gesto come per dire “Grazie di cuore, è stato un vero piacere”, ma il traffico improvviso ci divide nel giro di altre due curve. Quella R1 comparsa dal nulla scompare allo stesso modo. Ma mi ha lasciato un ricordo difficile da dimenticare, e senza nemmeno saperlo.
Me ne torno a casa e per me ha importanza solo una cosa, esattamente come le mille volte precedenti: ripartire.