Ho visualizzato questa scena un milione di volte: l’alter ego, lo sguardo torvo di chi la sa più lunga di te, lo spazio del nulla e via discorrendo.
Ma bando alla teatralità, spicciola e già vista in milioni di scene sullo script di qualcun’altro, peraltro. In questa sede voglio invece focalizzare sull’oggetto del dialogo di quell’ipotetica scena.
Perché vivi?
La risposta è fredda matematica o retorica.
Perché no?
Perché non dovresti vivere?
Vivi perché puoi farlo. Vivi per chiederti perché puoi farlo. E puoi farlo perché vivi.
Magari credi di vivere. Anche una tartaruga crede di vivere. Forse anche una margherita. Probabilmente anche un sasso lo crede. Non ha importanza che lo faccia davvero. Esiste e tanto basta.
In pratica, vivi perché è nell’ordine univoco delle cose.
Potrei andare avanti all’infinito sciorinando fiumi di parole per avvicinarmi il più possibile ad una realtà che, ahimè, trascende il protocollo delle parole stesse.
Non contento di questo risultato, proverò a focalizzare, in modo da ricondurlo ad un ambito discutibile con le parole umane:
qual’è lo scopo di vivere?
Da un punto di vista biologico: vivi per perpetrare la specie.
Da un punto di vista umanistico: vivi per seguir virtute e canoscenza.
Da un punto di vista psicologico: vivi per superare le tue paure.
Da un punto di vista romantico: vivi per dare e ricevere amore.
Tutte belle cose, sicuramente giuste.
Ma sulla faccia della Terra milioni di persone vivono e crepano strafregandosene o essendosene strafregati del punto di vista biologico, umanistico, psicologico e romantico.
Però, almeno di una cosa non possono o non hanno potuto strafregarsi: avere un contatto con un proprio simile.
Focalizzo ancora, per le ragioni di cui sopra:
qual’è lo scopo che nobilita l’azione di vivere?
Conoscere il tuo prossimo.