Ali & Co. è lieta di presentare il nuovo articolo per il GAF.
Questa volta parliamo di manga più attenti alla vendibilità che non alla qualità artistica, a partire dalla nascita del fenomeno negli anni ’80, della fioritura con “Dragon Ball” e degli ultimi esponenti del genere, “Naruto” (pezzo a cura di Sil) e “One Piece” (parte scritta da me, insieme all’introduzione).
Un po’ di autocritica mi spinge a giudicare il mio pezzo ben schematizzato, ma anche un po’ ferraginoso espositivamente in alcuni passaggi, soprattutto nell’immediato prefinale.
Ultima nota prima della lettura: un po’ per paura di non riuscire a rientrare nelle sei pagine, un po’ per essere sicuri di trattare il tema in modo esaustivo (o almeno con approfondimento sufficiente), abbiamo scritto molto più di quanto alla fine non si sia rivelato necessario. Da qui la necessità di dividere in due parti, la seconda delle quali verrà pubblicata sul “Notiziario GAF” numero 36, prima dell’estate. In esso la conclusione dell’analisi delle due serie ed alcune parole sui manga d’autore.
MANGA “COMMERCIALI” – Idee al saldo (Prima parte)
Commerciale: “detto di bene che che è stato prodotto non secondo criteri di qualità, ma di sola convenienza”.
Circondati da una società in cui percepiamo il possesso di beni sempre più improntato al consumismo, sentiamo ripetere questo aggettivo sempre più frequentemente, e con un tono sempre più dispregiativo di giorno in giorno, specialmente in riferimento a mezzi di comunicazione in grado di offrire spunti artistici. All’atto pratico, definizioni come “fumetto d’autore” e “fumetto commerciale”, che di definitivo hanno molto poco, hanno assunto progressivamente tratti identificativi più marcati fino quasi a diventare sinonimi di “bello” o “brutto”.
Cercando di liberarci da questa associazione mentale preconfezionata e da un numero eccessivo di ovvietà che potrebbero essere formulate, vogliamo questa volta andare ad osservare come il mercato del manga attraverso le sue mille forme abbia ben assecondato con i suoi stereotipi le esigenze di un fumetto più attento alla vendibilità del prodotto che al fascino di certi suoi aspetti artistici.
Forse inutile dirlo, partiamo tuttavia dal presupposto che, esattamente come in ogni cultura fumettistica mondiale, anche nella forma del manga esistono cattivi fumetti (tanti?) e buoni fumetti (pochi?). Non ci chiederemo se l’enorme massa di carta stampata e di nomi del mercato nipponico favorisca la diffusione in grandi quantità di buon fumetto per una sorta di “teoria dei grandi numeri”, daremo per scontata, piuttosto, una sconfinata diffusione in termini di fumetti un po’ meno “impegnati”.
La postulazione è accettabile: non si è mai fatto a meno di osservare che a produrre grandi numeri in termini di vendita non siano i prodotti impeccabili da un punto di vista artistico, quanto piuttosto le produzioni più fruibili da un punto di vista dello svago e dell’intrattenimento.
Perseguendo l’obiettivo dello svago, dell’intrattenimento e non quello della qualità narrativa pura e semplice, molto spesso (quasi sempre?) gli autori si concedono la libertà di sorvolare in maniera più o meno generosa su questioni più complesse come coerenza, continuità, circostanziamento e spettacolarizzazione. A grandi linee, si potrebbe quindi riassumere così l’essere “commerciale” di un manga (e non solo di un manga), nello scarso freno cioè di una vicenda nel porsi delle regole, nel rispettarle e nel valorizzarne i vincoli. Per un primo esempio ci affidiamo all’escamotage più naturale, vecchio ed internazionalmente noto della storia dei fumetti: i fan-service. Essi costituiscono un espediente grafico del tutto gratuito, colgono l’attenzione del lettore, catturano il suo sguardo, ma non arricchiscono in alcun modo la qualità della narrazione. Al contrario, se abusati ne inficiano la verosimiglianza e ne sovraccaricano l’aspetto fantasy. “Vi piacerebbe un mondo dove tutti gli uomini sono forti, le donne belle, i problemi semplici e la vita avventurosa?” diceva con molta lungimiranza Sprague de Camp. La scuola artistca del sol levante, in molti casi esattamente improntata alla ricerca del “kawaii” (“carino”) o di un’eleganza del tratto tutta decò nei confronti di proporzioni o tratti femminiili, ha saputo conciliarsi perfettamente con certe esigenze fumettistiche parallele. Citiamo due nomi che imbastiscono la propria essenza esattamente su questi presupposti: Bastard!! e Tenjou Tenge (Inferno e Paradiso). Tenjou Tenge, è inoltre una vera e propria arma a doppio taglio: oltre ai fan service in dosi massicce è uno di quei manga in cui la trama è azione al 100%.
Ci ricolleghiamo a quanto detto in precedenza: un prodotto commerciale, e dunque votato all’intrattenimento, è più efficace per lo svago se non implica un impegno nella lettura, se non costringe il lettore ad uno sforzo di attività mentale. E questo può essere parimenti ottenuto semplificando i dialoghi, o stirando questi ultimi tramite verbose spiegazioni o inverosimili monologhi, oppure limitando la complessità delle tematiche trattate. A sua volta, tutto ciò può essere garantito molto facilmente attraverso l’azione, se i personaggi si muovono, agiscono, se capita sempre qualcosa che non li releghi al ruolo di esseri senzienti, consapevoli. Nei manga di stampo commerciale, lo vedremo anche in One Piece, non c’è quasi mai una caratterizzazione del personaggio, e se c’è è statica, non progredisce. I sentimenti e gli stati d’animo devono infatti essere interpretati, compresi, mentre i fatti, i gesti, le azioni possono essere solamente osservate distaccatamente.
Gli autori giapponesi hanno inoltre compreso da lungo tempo che l’espediente migliore per mantenere l’azione ricca di un certo dinamismo è utilizzare il “combattimento”. Ricondurre cioè la risoluzione di qualunque questione al confronto fisico, alla violenza, allo scontro materiale di due antagonisti, così da appellarsi all’aspetto un po’ più animalesco dell’essere umano che l’attuale società pacifica ha più strettamente vincolato. In questo senso, un manga diventa una valvola di sfogo, e, nelle forme più sofisticate, uno esorcismo atto a veicolare sogni, aspettative e desideri più o meno negati (ruolo che al momento Death Note sta interpretando alla perfezione). Anche gli shojo manga possono avere vita facile grazie a questo meccanismo: grazie alla loro intrinseca condizione di realismo d’ambientazione (lo stereotipo persistente della commedia scolastica) favoriscono l’immedesimazione del lettore (della lettrice) e la proiettano con maggior immediatezza in un mondo di principi azzurri e di amori rocamboleschi o platonici, di donne emancipate o di orfane in cerca di affermazione. Da questo punto di vista, lo stesso Nana non è molto distante dall’essenza del manga commerciale, ed i numeri confermano questo supposizione. Eppure la forma tridimensionale della caratterizzazione degli stessi personaggi di Nana è fuori discussione.
Tornando al fattore combattimento, un grande successo commerciale ha interamente edificato la propria notorietà su di esso: Dragon Ball.
Parliamo ancora una volta dell’opera di Toriyama perchè essa gode di tutti gli aspetti del fumetto commerciale che abbiamo toccato finora: a partire dalla metà dell’opera, Dragon Ball perde qualunque vincolo di coerenza e converge del tutto verso una forma di evoluzione ripetitiva ed altamente schematica, priva di qualunque espediente volto quantomeno ad arricchirne la forma. Ed ovviamente l’elemento combattivo prende il posto di qualunque altro.
Fino a quel momento, erano già comparsi titoli che puntassero tutto sul confronto armato dei protagonisti (Hokuto no Ken, e prima ancora gli stessi Mazinger di Nagai), ma in nessun caso il binomio del clamoroso successo commerciale e del tono clamorosamente farsesco della narrazione aveva raggiunto livelli paragonabili: non è dunque fuoriluogo attribuire a Dragon Ball il titolo di capostipite della famiglia dei manga commerciali in chiave moderna, nonché fondatore ed istitutore delle direttive della famiglia stessa.
A complicare non poco la questione inerente Dragon Ball e tutto ciò che noi abbiamo chiamato manga commerciale subentra tuttavia il fattore “target”. L’opera di Toriyama nasce nel corso della metà degli anni ‘80 in una sorta di momento di transizione del prodotto manga. Fino a tale periodo l’opera giapponese a fumetti non aveva goduto della specializzazione e della diversificazione di pubblico che possiamo riscontrare al giorno d’oggi. Esistevano al più gli shonen manga e gli shojo manga, ma ciascun rappresentante dei due generi era generalmente inteso per tutte le fasce di età ed estrazione culturale e sociale dei lettori. In una sorta di circolo vizioso, il pubblico stesso non era portato ad identificare e categorizzare univocamente le proprie preferenze verso un genere in particolare. Fu appunto negli anni ‘80 che l’ingigantirsi del mercato portò alla ricerca di una maggior diversificazione interna, sia in conseguenza, che come causa remota di una maggior consapevolezza da parte degli interessi dei lettori. L’aumento dei volumi di mercato fu così assecondata in tutte le forme: rimasero i grandi artisti del passato, ma i toni si diversificarono (fino al comico ed alla sua degenerazione nel demenziale), la fantascienza, come abbiamo visto, si indirizzò definitivamente verso il realismo, gli shojo manga iniziarono ad abbandonare la tradizionale impostazione classica in favore della forma più moderna improntata all’attualità, i manga trovarono tra le tante una propria impostazione anche per gli adolescenti e, su tutto, il meccanismo del buon commercio fece degenerare qualunque presupposto fra questi in opere promiscue, che fossero aperte alla lettura dei fruitori occasionali.
Ci chiediamo tuttavia, c’è tutta questa differenza tra questi ultimi due “generi”? Manga per adolescenti e manga commerciali sono realtà così diverse? La riposta ovviamente non è del tutto affermativa e non è del tutto negativa. Attualmente la visione adulta di ciò che possa piacere ad un adolescente è piuttosto omogenea e condizionata dall’interpretazione comune della dimensione dell’infanzia: gli adulti attribuiscono sempre ai bambini una grande capacità di sognare e di usare la fantasia. La magia, pertanto, è quindi paragonabile ad un ottimo fan-service per i giovanissimi, un elemento che colpisce direttamente la loro immaginazione e stimola la loro creatività, ma, dal punto di vista del mangaka, anche un potenziale strumento di risolubilità totale, e quindi di scarso circostanziamento. D’altro canto, un bambino è troppo ingenuo per chiedersi “perchè?” o per “quale ragione?” o, almeno, non è recata offesa a nessuno nel pensarlo. Tranne al bambino stesso. In quest’ottica forse troppo semplicistica, possiamo tuttavia tracciare un legame anche tra lo scarso approfondimento della caratterizzazione dei personaggi e tra una certa ingenuità del giovane lettore non atta a coglierla, e tra il desiderio di vedere la narrazione improntata al dinamismo (o alle arti marziali) piuttosto che ai dialoghi. Senza addentrarsi in sterili polemiche o in generalizzazioni ancor più spinte, possiamo concludere unicamente che per Dragon Ball e per i suoi discendenti più stretti, la definizione di manga commerciale non sia affatto fuoriluogo, ma che l’enorme successo riscosso potrebbe essere un chiaro segnale a testimonianza di un’opera perfettamente riuscita per il target degli adolescenti al quale era indirizzato.
E’ sufficiente il raggiungimento di questo risultato per riscattare l’opera di Toriyama da tutte le accuse di scarsa qualità che possono esserle rivolte da un punto di vista volto a sondarne i canonici aspetti artistici?
Come da tradizione, lasciamo la risposta al lettore.
Attualmente concluso al quarantaduesimo tankobon, Dragon Ball rimane il manga più venduto della storia. Non resta che chiedersi: dopo 20 anni, quanto e come sono cambiate le cose? Scopriamolo attraverso dati oggettivi: i risultati di vendita.
NARUTO
Naruto è un’opera di Masashi Kishimoto, pubblicata per la prima volta in Giappone nel Novembre del 1999 e arrivata in Italia nel 2003. Ha ormai raggiunto i 45 numeri (edizione Giapponese) ed è tutto’ora in corso d’opera. I primi 36 volumi della serie hanno venduto più di 70 milioni di copie.
Naruto è un ragazzo di dodici anni del Villaggio di Konoha, in questo mondo questi luoghi chiamati Villaggi sono comunità di poche migliaia di abitanti in cui vengono addestrati i Ninja che in futuro dovranno servire la nazione di cui il Villaggio fa parte.
Naruto da piccolo fu usato per sigillare il demone che attaccava il Villaggio e per questo da allora viene considerato un mostro. E’ orfano, non ha amici e nutre un grande senso di rivalsa che lo spinge ad andare avanti: vorrebbe diventare il migliore, vorrebbe che tutti fossero fieri di lui e che tutti riconoscessero il suo talento, e accettassero di amarlo, o di odiarlo… ma almeno considerandolo. Naruto frequenta l’accademia di addestramento, siamo all’inizio della nostra storia e vengono organizzati i gruppi che verranno assegnati ognuno a un mentore che dovrà completare l’addestramento e traghettarli nel mondo del professionismo.
I gruppi sono di tre unità, il nostro eroe finisce assieme all’eterno rivale d’infanzia Sasuke, un ragazzino ombroso, primo della classe, ammirato dalle ragazze che però rifiuta con freddezza; e Sakura, la ragazza di cui è infatuato, che però (in onore del classico triangolo) ama Sasuke da cui viene snobbata.
Tutti, anche il loro maestro, sembrano accompagnati da lunghe ombre, strascichi di passati scomodi e pieni di conflitti irrisolti.
Kishimoto parte da questa classica struttura per poi, onore al merito, deformare e creare altro, scavare più a fondo di quanto altri autori abbiano fatto al punto da guidare la storia verso un punto inatteso quanto ragionevole: al crescere dei ragazzi questo triangolo perde di importanza, si scioglie, la loro vita e la crescita li porta con naturalezza a cambiare le loro priorità, per quanto certe impronte, ovviamente, non spariscano mai.
Nella grande sala in cui sono nominati i protettori del Villaggio, un gigantesco stendardo reca, su semplice sfondo bianco, l’ideogramma giapponese che significa “persona”.
E’ il tema che sta alla base dell’opera di Masashi Kishimoto, una vera e propria storia di formazione in cui un gruppo di ragazzini vengono seguiti nella loro vita privata e “professionale” dall’inizio del loro addestramento fino alla loro ascesa alla leggenda. Kishimoto non tralascia niente: la scoperta dell’amore, delle tensioni sessuali, delle responsabilità e anche dei sensi di colpa e dei rimpianti.
Il nostro “occhio” su questo mondo è quello del protagonista che da il titolo alla serie, Naruto, un ragazzino semplice, infantile, eppure animato da grandi ideali che non vuole abbandonare nonostante la vita lo metta di fronte a continue avversità e delusioni.
(Continua…)
ONE PIECE
One Piece è l’opera d’esordio di Eichiro Oda ed allo stesso tempo il suo manga più importante, impegnativo e longevo. La serializzazione inizia nel 1997, quando Oda abbandona lo stato di assistente di Nobuhiro Watsuki per intraprendere una carriera da mangaka professionista. Attualmente One Piece è ancora in corso di pubblicazione e recentemente ha varcato la soglia oltre che dei dieci anni di pubblicazione consecutiva, dei 500 capitoli e della raccolta in 50 tankobon. Tutto ciò è stato possibile, per stessa ammissione dell’autore, grazie all’elevatissimo indice di gradimento che la serie ha registrato e che continua a registrare e per il grande successo ottenuto. Attualmente One Piece, con un totale di più di 140 milioni di copie vendute, è infatti il terzo manga più venduto in terra di Giappone, a seguito di Dragon Ball (per circa 160 milioni di copie) e di Kochikame (anch’esso sulle 140 milioni di copie). Eichiro Oda ha dichiarato che il progetto doveva concludersi nell’arco di circa cinque anni, ma che nel frattempo esso sia andato in un certo qual modo fuori controllo. Da ciò l’impossibilità di pronosticare un possibile termine per la lettura del finale. Lo stesso finale tuttavia, pare essere l’unico punto fermo rimasto: Oda sostiene infatti che nel corso del tempo esso non sia affatto cambiato rispetto alla stesura del progetto di partenza. Con un pizzico di malizia, si può forse pensare che l’obiettivo dell’autore sia oramai quello di superare le vendite record di Dragon Ball…
“One Piece”, oltrechè titolo dell’opera, è il nome dell’inestimabile tesoro raccolto ed accumulato da Gol D. Roger, il più grande pirata che la storia ricordi, ragione per la quale a quest’individuo misterioso è stato conferito il titolo di “Re dei Pirati”. Sul patibolo, al momento di essere giustiziato, Roger gridò al mondo di aver nascosto nella meta ultima della “Rotta Maggiore” lo “One Piece” ed esortò chiunque avesse un minimo di spirito di avventura a spingersi per mare nel tentativo di raggiungere ed impadronirsi del suo stesso tesoro. Il richiamo dell’enorme ricchezza e delle parole di Roger furono tali che ingenti folle di persone abbandonarono il normale corso della propria esistenza al fine di intraprendere la vita del pirata. A distanza di vent’anni nel passato rispetto al punto in cui si apre la narrazione, fu così che ebbe inizio “L’era della Pirateria”.
Al momento presente, l’attenzione si sposta sul piccolo Monkey D. Rufy, che un breve prologo ci introduce come un comune ragazzino di 8 anni il cui sogno è quello di diventare il nuovo “Re dei Pirati”, aiutato dai poteri conferitigli dal frutto del Diavolo di Gom Gom (un misterioso frutto che trasforma il suo corpo in gomma). La vicenda vera e propria si apre ancora 10 anni più tardi rispetto al prologo, quando un Rufy (quasi) adulto prende la via del mare per inseguire attivamente il proprio sogno. A quel punto non gli resta che formare una ciurma e trovare una nave…
A partire da questa situazione, la trama evolve e procede in maniera piuttosto lineare, arricchendosi di personaggi e dettagli narrativi, eppure mantenendo una serie di punti fermi, tutti condizionati dal leit motiv di One Piece: inseguire i propri sogni. Nel tema dell’opera è identificabile la causa remota alla stragrande maggioranza dei principali eventi della trama: costituisce il movente per il quale ha inizio l’era della pirateria (trovare lo “One Piece”), l’ambizione del protagonista (diventare il nuovo “Re dei Pirati”), un importante elemento di giudizio grazie al quale Rufy decide chi è all’altezza di far parte della propria ciurma, e l’ingrediente segreto che distingue la nuova generazione di pirati, debole e priva di ideali, dalla vecchia, libera ed invincibile.
Non diciamo che un tema dell’opera sia un prerequisito artistico, ma è certo che abbiamo fatto un passo avanti rispetto all’unica condizione di voler diventare il più forte dell’universo a mezzo di ripetuti scontri presente in Dragon Ball…
(Continua…)