“The world is not enough”

Chiusa la parentesi estiva (del mare rimangono solo ricordi) e quella ludica (con il post di Giovanni), aggiungo un nuovo tassello alla sequenza che avevo in mente, fatta di quattro pezzi orbitanti attorno al mondo delle due ruote.

Quello che segue è un brano al quale sono piuttosto legato per almeno due ragioni:
– è il primo pezzo che scrissi come diario di una bellissima avventura motociclistica. Costiutisce, in pratica, il prototipo del suo genere, degli articoli “narrativi” che ravvivano il mio Diario Recensivo.
– la decisione di tornare in sella dopo più di 5 anni di quiete venne pian piano maturata in quella stessa esperienza e si trasformò in realtà pochi giorni dopo, con l’acquisto della Suzuki che ancora mi accompagna in giro per tornanti appenninici. A mio modesto parere, non è difficile figurarsi nella lettura il crescente moto-entusiasmo, passaggio dopo passaggio…

“Lollo & Aru: diario di viaggio di una sfolgorante giornata in moto a caccia di manga”

“Ushio e Tora” è certamente un gran manghetto. E’ uno di quei fumetti che, una volta iniziato, cattura la tua attenzione fino all’ultima pagina dell’ultimo numero. Insomma, se lo conosci, lo leggi, e se lo leggi, ti piace. Molto. Ma se non ce l’hai? Se non lo possiedi? E se, peggio ancora, è la fumetteria dove ti servi a non avere disponibili tutti i numeri che ti mancano? Cosa fai? Li ordini?
No.
Nemmeno per sogno.
Troppo facile fare così. L’unico vero modo appagante a 360 gradi per venirne in possesso è quello di andare a caccia di ciascun numero, stanarlo, ghermirlo. Dove? Che domande… ha importanza dove?
“Va’ dove ti porta il cuore.”
O magari una bella lista di fumetterie scaricata da Internet.
Certo, basta decidersi, cosa nient’affatto semplice. Però alla fin fine è sufficiente una buona scusa, uno stimolo qualunque perché un progetto al di fuori di qualunque logica chilometrica prenda corpo. E una motocicletta nuova è qualcosa più di un piccolo stimolo: è una vocina che, in fondo all’animo, dice “parti, vai, viaggia, percorri, l’avventura è a portata di mano, cerca, osserva, scruta, guida, io rispetterò con osservanza i tuoi ordini”. Se poi hai deciso di vivere con nobili aspirazioni -quale la ricerca degli ultimi numeri di “Ushio e Tora” è senza dubbio- non vi sarà alcuno che potrà dire di aver meglio vissuto il tempo speso per tale viaggio.
Sabato mattina, ore 9,45.
Preciso. Puntuale. Sento il rumore del bicilindrico. Apro la porta: è arrivato. “Entra un momento Lollo, dobbiamo ancora stabilire il nostro raggio di azione.” Le possibilità di compromesso tra una proficua caccia al manghetto ed un continuo saliscendi di curve e tornanti sono due e farebbero fremere di emozione qualunque motociclista con un briciolo di consapevolezza: Pontassieve, il Muraglione, Forlì. Le quattro fumetterie di Forlì. Oppure la Volterrana, Cecina, la relativa fumetteria, la costa verso Nord ed un paradiso di molteplici possibilità costellate di manga: Livorno, Pisa, Lucca, Pontedera, Empoli e che Dio si preoccupi di stenderci un tappeto rosso. Seconda possibilità: stiamo arrivando.
Raccolgo le cose che probabilmente mi saranno utili. Abbigliamento, un paio di guanti, il giubbino BMW -perché è a tema e perché anche l’occhio vuole la sua parte- e qualche ammennicolo tecnologico che potrebbe sempre servire: cellulo e GPS. Il casco mi viene gentilmente offerta dalla controparte che si occuperà della guida e, dato che ha l’interfono, proprio non me la sento di rifiutare. Della serie: “a noi la NASA ci allaccia le scarpe”. In realtà la procedura per la corretta gestione dell’interfono non è proprio immediata e solo alla terza messa in atto ne sarò divenuto padrone. Vestizione a parte, la procedura prevede i seguenti passaggi: sale in sella il pilota, sale in sella il passeggero. Il passeggero si intasca l’interfono che –possibilmente- si è già preoccupato di connettere al proprio trasmettitore nel casco. Si posiziona. Recupera e connette il cavo del trasmettitore del casco del pilota. Accende l’interfono. Conclude la vestizione infilandosi i guanti che gli impacciavano le mani per le operazioni precedenti. Chiude la visiera. Fine.
Si parte. La moto muove i primi metri. Anche la mia testa è partita, già da qualche secondo infatti nelle mie orecchie echeggiano gli Steppenwolf (“Born to be Wild” ovviamente) mentre i miei occhi visualizzano Peter Fonda e Dennis Hopper, in quello che è uno dei migliori film di sempre: “Easy Rider”. Tutto ciò senza dimenticare le parole di Romano Malaspina: “Goldrake, avanti!”
Attraversiamo Firenze. Tutto bene. Si sta comodi in sella, la moto vibra un po’, soprattutto sulle pedane del passeggero, ma niente di insopportabile. A fine serata il fisico ne accuserà di tutti i colori, tranne che per quello.
Arriviamo finalmente al Galluzzo, la Volterrana ha inizio. E che inizio! Il primo tratto ci mette subito in riga: le curve sono strette e siamo decisamente in pendenza. La R1150 R non si lamenta, ma non è esattamente la bicicletta con la quale andresti a cercare proprio questo tipo di terreno. Dopo una piccola invasione di corsia, comprendiamo che è il caso di andarci più tranquilli, di entrare belli larghi nelle curve e di lavorare più di gas che di ciclistica. Fortunatamente si arriva sulla vetta -per così dire- dopo pochi secondi, dopodiché la strada si fa decisamente meno tortuosa. I ritmi allora aumentano di conseguenza. Non cerchiamo, tuttavia, la guida sportiva, non possiamo permettercelo, non ne vale la pena: ancora troppa poca confidenza con il nuovo mezzo. La moto si trova adesso molto più a suo agio e inizia a rivelare la sua natura di macinatrice di chilometri. Anche noi iniziamo a divertirci nel vero senso della parola, seppur con l’aumentare della velocità diventi quasi impossibile comunicare: benché l’interfono sembri piuttosto efficiente, i fruscii aerodinamici iniziano ben presto a coprire qualunque altro rumore, compresi quelli provenienti dall’interno del casco. In questo caso basta disconnettere il cervello e mandarlo per i fatti suoi.
Una curva: “Quanto tempo che non viaggiavo in moto”. Ovviamente mi vanto della mia tecnica di “assecondamento” alla guida, nel senso che passeggeri in grado di rimanere così perfettamente neutri e bilanciati non se ne trovano. *Baciamano*.
Due curve: “Quanto tempo che non percorrevo la Volterrana, almeno tre anni, da quella volta che la macinai tutta in Liberty 50″. Non è cambiato poi molto e forse è per questo che passo dopo passo riaffiorano alla mia memoria tutti i riferimenti presi le volte precedenti. Grande nostalgia.
Tre curve. La Volterrana è ancora in grado di offrire paesaggi di ogni genere: campi coltivati, a giallo, verde o marrone, colline nella più classica accezione toscana del termine e folti boschi, perfino qualche cava di pietra nei dintorni del paese dal quale la strada prende il nome.
Quattro curve. Volterra. Mentre passiamo di lì mi rimprovero per l’ennesima di volta di non aver ancora assecondato il mio proposito di visitare la chiesetta che si staglia maestosa in cima a quell’aspro dirupo.
Cinque curve. Iniziamo a preoccuparci per l’ora. Sono le 11.50. Faremo in tempo per la fumetteria di Cecina? E se chiudesse alle 12.30? Che il vento ci assista, di correre non se ne parla.
A proposito del vento: benché il cielo sia coperto non fa particolarmente freddo. Non che questo ci preoccupi in realtà, vorremmo solo che non piovesse. A Firenze ricordo di essermi detto: “Il cielo avrà modo di cambiare più e più volte da qui al mare”. Ma niente, invece: al mare è uguale a Firenze e non è mai cambiato di una virgola.
Cecina, arrivati. E di nuovo a cercare quale di quelle caspito di strade parallele sia quella che ospita la fumetteria! Possibile che riusciamo ad azzeccarla solo all’ultimo tentativo? Possibile che sia così tutte le sante e benedette volte? Ma non è che il proprietario si diverte a spostare il negozio ogni anno per puro astio nei miei confronti?
Stiamo ritardando sempre più, eppure, magicamente, il negozio è ancora aperto quando finalmente arriviamo a destinazione. E quanta gente! Il locale è pieno di ragazzini che giocano a Magic attorno ad un tavolo. Io e Lollo, una volta all’interno, ci rimbocchiamo le maniche: c’è tanto materiale da controllare ed è tutto alla rinfusa. Questo significa che dovremo passare in rassegna ogni singolo albo in ogni singola scatola. Un qualunque essere umano normale avrebbe mostrato la propria mancolista al commesso chiedendo il suo aiuto, ma nel vocabolario dei sinonimi, alla voce “essere umano normale”, non troverete mai la dicitura “appassionato di manga della vecchia guardia”. Ed ecco perché il solo pensiero di dover infilare le mani nel più infrattato meandro di quegli scaffali ci riempie la testa di emozioni. Io vado a ficcanasare prima negli scaffali più in alto, ma identifico solo cose relativamente recenti e comuni. Proprio tra queste ultime Lollo compie invece il suo primo ambo: “Ushio e Tora”, alcuni numeri la cui caccia ci ha condotto fin qui, poi il numero due di “Clover”. Il tre non lo convince, è leggermente sbiadito e decide di cercarlo in altro posto: devo avergli insegnato io ad essere tanto esigente (ora si dice così) nei confronti dello stato di conservazione dei manghetti.
Scaffali più in basso. Si, materiale esaurito ce n’è, ma niente che attiri la mia attenzione.
Scaffali raso terra. Sono costretto ad infilare il braccio in meandri oscuri che potrebbero ospitare terribili mostri in grado di papparsi il mio arto… ma il gioco vale la candela: salta fuori un incredibile “Spriggan” numero 5, l’introvabile, il leggendario, l’ineffabile inafferrabile, il pezzo per il quale numerosi collezionisti si malmenerebbero al fine di impossessarsene. Crociate sono state indette per il recupero di cotal leggendario fumetto, uomini sono partiti e mai tornati indietro cercando di stabilire la propria padronanza su tale misterioso artefatto. Ma io lo ripongo al suo posto: e che caspito, io ce l’ho già!
Continuando a spippolare salta fuori anche una serie completa di “Young”, oramai sempre più difficilmente reperibile. Comprerei il numero dieci per sostituire la mia logora copia de “Il mensile del fantastico”, se non fosse che quella è in condizioni ancora peggiori… peccato. A concludere la nostra prima incursione è un breve scambio di battute con il fumettaro (o fumettaio). Sembra che abbia occhio acuto: ci chiede se sia la prima volta che frequentiamo il suo negozio. Una cosa è certa, bardati come siamo e visto come ci siamo comportati (avete presente l’azione di rivoltare un calzino riferita ad un negozio?), in futuro non avrà più incertezze circa la nostra identità.
Varchiamo, ora in uscita, la soglia della prima fumetteria ed un gorgoglìo piuttosto pronunciato ci ricorda che è ora di pranzo e che non sarebbe male mettere qualcosa sotto i denti. La successiva tappa ce la giochiamo praticamente a morra cinese: il tennis a Castiglioncello. Castiglioncello che, in pochi minuti, raggiungiamo in superstrada. Le curve della strada statale, infatti, non sono alla nostra altezza e dal nostro livello di eccellenza motociclistica decidiamo di snobbarle. Superstrada in BMW, quindi. La moto procede in scioltezza, i due cilindri tamburellano allegramente ed il paesaggio scorre velocemente. Ancora una volta mi arpiono solidamente ai maniglioni della moto, ma la paura di essere catapultato via per colpa di un sobbalzo, causato magari da una giuntura birbona dell’asfalto, mi convince ad aggrapparmi al pilota.
Il paesaggio continua a scorrere velocemente in lunghi tratti rettilinei. Chiudo gli occhi cercando di cogliere l’essenza del momento, straniandomi ancora una volta dagli intensi frusci aerodinamici e tentando magari di ribaltare il punto di vista: non è la moto che avanza lungo la strada, è la strada che scorre sotto la moto. In questo senso, staticità e moto uniforme hanno in effetti lo stesso valore, lo stesso impatto emotivo.
Arrivati a Castiglioncello, assistiamo al miracolo della foschia. Il cielo coperto permette un’ottima visibilità sul mare e la sagoma di tutte le isole dell’arcipelago toscano si staglia esattamente davanti al nostro naso. Immagino di vedere la Corsica, ma probabilmente è solo suggestione. Parcheggiamo la grossa BMW da una parte e ci presentiamo al piccolo ristorantino nella pineta che Lollo chiama “Tennis”. Mangiamo un tranquillo pranzetto, un pasto di metà giornata che per una volta in vita mia ha davvero l’aspetto di un pranzo e non di un solitario panino. Tra un discorso e l’altro su auto, moto, anime e quant’altro, concludiamo il nostro pasto sulla scia di un’ultima idea: visto che il vento ci ha quasi portato nei rispettivi luoghi di villeggiatura estivi, decidiamo di approfittare dell’occasione e di andare a prendere un caffè direttamente a casa di Lollo, in compagnia dei suoi genitori (genitori i quali, in effetti, non vedevo da eoni!). Saluti e baci quindi. Approfittiamo della pausa caffè anche per riprogrammare l’antifurto della moto, il quale decide simpaticamente di attivarsi automaticamente, ed in maniera del tutto autonoma, ad ogni spegnimento del motore. Trattengo a stento le risa -diciamo che cerco di evitare di sdraiarmi in terra con le mani sulla pancia- alle battute del papà del mio compagno di viaggio: “Rita prepara altri due letti. Bisognerà andare a fare altra spesa…”. Eppure sembra che non ci sarà bisogno di nulla di tutto ciò: dopo alcuni tentativi a vuoto, sembra che la centralina della BMW si convinca a seguire gli ordini che le vengono impartiti e ad attivare l’allarme solo previa richiesta. Ultima operazione prima di rimetterci in moto, scegliere a quali fumetterie dare l’assalto sulla strada del ritorno. Visto che Livorno è a due passi, ci sembra quasi doveroso condurre le nostre ambascerie in tale direzione. Tuttavia, l’idea di fermarci solo ed esclusivamente in fumetterie di piena metropoli non ci entusiasma più del necessario: nelle nostre romantiche idee, le vere perle fumettistiche fanno capolino soltanto in quei minuscoli negozietti che puoi sperare di trovare solo nel più sperduto tra i paesini di campagna. Non a Lucca, non a Pisa, non a Pistoia. Si, magari a Pontedera. (Poveri illusi).
Ma prima, Livorno. Percorriamo interamente strada costiera, altro spettacolo veramente affascinante. La spiaggia non c’è ma la strada è lì ed il mare proprio al di sotto. Peccato solo che il tratto sia abbastanza trafficato ma, fortunatamente, anche abbastanza breve.
Livorno, dunque. Il problema è: dato un indirizzo, come si fa a trovare la locazione fisica del luogo stesso? Si fa abbastanza male in realtà, dato che nessuno di noi due conosce troppo bene la città di Livorno. Ma non siamo tipi da scoraggiarci per così poco, o almeno, non con le risorse che abbiamo nel cervello (ma soprattutto in tasca): il GPS. Lollo guida con prudenza, io con una mano mi reggo, con l’altra stringo il palmare e do indicazioni sulla strada da seguire.
Ali & Lollo VS Tartarughe Ninja 1:0 (?).
Ovviamente non rivelerò mai in questa sede che per settare il navigatore satellitare sul corretto indirizzo ci abbiamo (leggi: ci ho) messo qualcosa come 15 minuti. DOH!
Giungiamo infine al corretto indirizzo riportato sulla lista, eppure quella vetrina tutto sembra meno che l’ingresso di una fumetteria: chiusa, dove per chiusa intendo sprangata con una sorta di titanico cancello in ferro che nemmeno a Fort Knox. Di insegne nemmeno l’ombra. Di orari nemmanco. Nessun recapito, nessun riferimento, nulla. La vetrina è del tutto a specchio quindi, al suo interno, non si riesce a vedere. Capisco che la PAN distribuzioni magari non debba essere intesa come fumetteria nel senso tradizionale nel termine, ma a noi due poveri turisti sono sorte delle strane crisi di identità in quello strano luogo! Poco importa, ci diciamo, ci penserò l’altra fumetteria a riscattare il nostro entusiasmo. Ancora una volta guidati dal GPS, percorriamo sicuri varie stradine secondario di Livorno e, trascorsi pochi minuti, ci troviamo presso la nuova meta. Anche in questo caso il termine fumetteria può dirsi utilizzato in modo improprio: un supermercato, ma quale fumetteria?!?!
La superficie coperta da questo negozio supera allegramente quella di qualunque altro locale adibito a fumetti io abbia mai visto (che è tutto dire…). La ressa è totale: anche qui orde di bambini inferociti si stanno sfidando in un torneo di carte, a suon di “Draghi di Shivan” evocati da “Yugi-Oh” (almeno credo, non sono più nel giro oramai, ho smesso con quella vita ^_^ ).
Fumetti, invece, tanti. E manga. Uno scaffale lungo almeno una quindicina di metri aspetta di essere autopticizzato da noi due che oramai non abbiamo più remore a chiamarci “cacciamanga”. Una metà della lunghezza di questo immenso altare conserva ordinatamente serie manga relativamente comuni che io setaccio con attenzione ma che non mi regalano particolari momenti di suspance. Non così per il mio compagno, il quale si impadronisce di un altro “Clover” e di altri “Ushio e Tora”. Mi tuffo infine a razzolare nella seconda metà, la sinistra, dell’immenso scaffale, la quale è un vero guazzabuglio: il materiale è quasi accatastato, impilato disordinatamente e senza alcuna logica: in pratica, la mia apoteosi. Saltano fuori alcuni numeri di “RG-Veda”, ma ovviamente manca il numero 8 che vorrei sostituire alla mia collezione. C’è un sacco di materiale Granata Press, ma più ci penso più mi rendo conto di aver già razziato i veri tesori di Granata Press molto tempo addietro. Oh, un numero di Yamato! Controllo la mancolista: niente da fare, ce l’ho già. Le speranze iniziano a scemare -e dire che dopo due fumetterie sono ancora a mani vuote- quando… TADAAN!! L’occhio mi cade sull’unica cosa che non sia un manga, che da tempo volevo comprare e che, ovviamente, è più difficilmente rintracciabile del ventitreesimo numero di Nausicaa: “Terry’s Angels”, di “Mrs. scoppiata Cangini”. (Ah, la Cangini. Ah, quella volta che l’abbiamo conosciuta a Lucca. Ah, quel disegno che Tommaso conserva ancora di lei. Ah, cioè, AAHH, non ho ancora inviato quella letterina a Dynamic Italia! Ma porc…)
Ma non divaghiamo: il mio compagno di avventura mi guarda in modo interrogativo.
Guarda “Terry’s Angels”.
Guarda me.
Guarda il fumetto nelle mie mani.
Guarda me.
Credo che gli passi per l’anticamera del cervello di controllarmi la febbre con una mano sulla fronte quando vede che in mano stringo un albo non giapponese. Di più: la cosa lo traumatizza a tal punto che si convince a prenderne una copia anche lui. Quando si dice l’influenza… la febbre, appunto, non il condizionamento. Saldiamo alla cassa con la tessera Fidaty e ci incamminiamo verso la moto. Ricomincia di nuovo la procedura della vestizione per il viaggio, ma… panico! L’interfono in prestito a me è scomparso. Io non ce l’ho. E tu Lollo? No. Controlla nelle borse. Niente. Ringrazio vivamente che la cosa più piccola di forma contundente a portata di mano di Lollo sia un cassonetto dei rifiuti urbani. Torno all’interno della fumetteria e ricontrollo attentamente i luoghi in cui ho poggiato le mani: nulla. Chiedo al fumettaio se non abbia visto in giro una scatola per sardine di colore giallo. Mi risponde di no: strano! A quel punto non mi resta che una cosa da fare: cercare un’uscita di sicurezza non sorvegliata e rassegnarmi a tornare a Firenze facendo autostop. Fortunatamente un’ultima ispezione alla giacca rivela che in realtà ho ancora indosso la scatola gialla di sardine, la quale è andata a cacciarsi nel risvolto dell’elastico. Fiù… meglio così: non dovrò tornare a piedi.
Poco dopo abbandoniamo Livorno. Lasciandola, mi rendo conto di non conoscerla per niente, nonostante così spesso sia passato da quelle parti per raggiungere il Porto e l’imbarco per la Sardegna. Lollo mi accenna all’apertura dei canali e della versione Toscana della città di Venezia, cosicché sul mio fazzoletto compare un nuovo e misterioso nodo.
Ripartiamo alla volta di Pontedera seguendo la più affidabile delle bussole: il caso. Ad ogni incrocio cerchiamo di tenerci lontano dalla Fi-Pi-Li, sempre alla ricerca di curve da assecondare e di piccoli stradelli asfaltati di campagna tutti da guidare. Interpretiamo i cartelli, poiché di indicazioni per Pontedera non v’è la minima traccia. In compenso, ad ogni totem di indicazioni stradali è ben presente un cartello per Cecina, il che è strano poiché Cecina dovrebbe essere molto più piccola e lontana da Pontedera rispetto al punto in cui ci troviamo noi. Cecina 27. Cecina. 32. Cecina 34. “Non c’è modo di lasciare Cecina!” scherza Lollo. Un po’ a zonzo in qua, un po’ a zonzo in là, decidiamo di fermarci a mettere un po’ di benzina. Se uno non ha particolari orari da rispettare perdersi non è un problema: è solo una questione di tempo, anche andando a caso, prima o poi, ritroverai una strada in grado di condurti alla meta. Il problema però assume una diversa proporzione se, andando a caso, ti perdi e finisci anche la benzina. Niente di irreparabile neppure in quel caso, poichè esiste sempre un numero di assistenza BMW per farsi venire a ripescare, ma sarebbe uno smacco veramente troppo grande per noi motociclisti del Sabato Pomeriggio.
Benzina fatta, ci rimettiamo in viaggio. Proseguiamo prendendo come riferimento cartelli che indichino paesi che reputiamo nelle vicinanze di Pontedera. In pratica, il massimo del pressapochismo. Dopo un po’ dobbiamo infatti rassegnarci a percorrere gli ultimi dodici chilometri di strada sulla FI-PI-LI che tanto attentamente abbiamo cercato di evitare. Alla corretta uscita, imbocchiamo nuovamente la strada statale che ci conduce ancora una volta in direzione Ovest. I minuti passano, i chilometri anche. Mi viene il dubbio che stiamo percorrendo una distanza ancora maggiore degli ultimi 12 chilometri di superstrada. Sembra cioè che stiamo tornando al punto di partenza, ma la velocità è molto inferiore, quindi probabilmente mi sto ingannando, ed infatti ecco finalmente il cartello di Pontedera. Nei pressi dell’ingresso al paese accostiamo nel grande piazzale di una fabbrica oggi chiusa, un largo spiazzo adibito al parcheggio di TIR. L’intento sarebbe quello di impostare nuovamente il GPS con l’indirizzo della fumetteria e di lasciarci guidare dallo stesso. In effetti saremmo pronti a ripartire in pochi minuti, se non fosse che Lollo ricorda improvvisamente quello che gli avevo detto alla sosta precedente in merito ad un grande piazzale. Non perdo l’occasione: con un po’ di timore reverenziale salgo in sella e, con tutta la cautela che sono in grado di porre, verticalizzo l’oggetto sulle due ruote, faccio salire la stampella, giro la chiave, aspetto che il sensore dell’ABS s’inserisca, controllo che l’allarme decida di non fare brutti scherzi e premo finalmente il pulsante di accensione. Il double spark prende vita immediatamente.
“E ora è cosa tra me e te, mia cara…”
Un po’ di gas, via la frizione e la grossa BMW percorre i suoi primi metri nelle mie e nelle mie sole mani. Fino a qui nessun problema. Per impostare la prima timida curva tolgo un po’ di gas. Nonostante il bicilindrico sia in grado di girare anche così in basso, e nonostante si senta che c’è coppia per riprendere anche da questi regimi, la moto ha un leggero sobbalzo nella prima corsa della manopola. Dovrei lavorare di frizione, ma ho troppa poca confidenza per queste sofisticherie con un acceleratore ed una frizione a me completamente sconosciuti. Appena mi sono posto nuovamente in linea retta apro il gas con un po’ più di disinvoltura. A metà strada inserisco la seconda. E non ho pensato per un secondo di farlo né per un mezzo secondo a come farlo! E’ venuto tutto da solo e si è trattato di una cambiata pressoché da manuale (Oh yeah)! Insisto con il gas sulla seconda: inutile nasconderlo, se l’utente non è abituato alle accelerazioni missilistiche di un GSX-R 1300 la R1150 R di Lollo sembra un fulmine. E probabilmente lo è. Nella mia scala delle emozioni questo è un altro passo verso la “Mano di Dio”. Anche fino a qui nessun problema. Fine del rettilineo, freno. Agisco sia con la mano che con il piede e, nonostante ci vada molto leggero sempre per un discorso di prudenza, mi stupisco di quanta potenza decelerante sia a disposizione dell’utente. La moto si arresta in pochi metri e finalmente l’avvertimento “non procedere mai a motore spento perché il dispositivo di ausilio alla frenata non è attivo” acquisisce senso compiuto. Curva, inversione di marcia. Ecco, qui la moto mette in mostra la sua vera personalità. Mi rendo effettivamente conto che i semimanubri sono molto più avanti di quanto mi aspettassi e rispetto al mio standard. In questa curva stretta la moto non ne vuole sapere di andare giù, pur con un filo di gas, è invece lo sterzo che si torce fisicamente lungo il proprio asse e che permette alla moto il cambiamento di traiettoria. Una sorta di effetto automobile.
Faccio un altro giro per confermare quanto riportato poche righe più in alto ed infine il mio senso del dovere riconsegna la motocicletta, con me a bordo, al suo legittimo proprietario.
Senso del dovere Vs “piglia la moto e scappa“ 1:0: ho sempre pensato di essere troppo onesto.
Scendo dalla BMW pensando “se non ho avuto alcun problema nemmeno con questa moto potrei anche andare a comprare una R1”. E’ vero, nessun problema, nessun particolare impaccio, nessuna particolare esitazione: un panorama fatto di grosse cilindrate mi si spalanca davanti agli occhi.
“Adesso sì che si ride…”
Pontedera. Il navigatore ci guida sicuro alla nostra prima metà, ma un locale del tutto sgombro ed un eloquente cartello “affittasi” al numero 184 ci mostrano abbastanza chiaramente che la lista scaricata da Internet, questa volta, ha proprio toppato e forse, anzi, probabilmente, per pochi soli giorni. Fortunatamente c’è una seconda possibilità. Una rotonda non segnalata nella cartografia del Navigon confonde tutti i suggerimenti in merito alle successive direzioni da prendere e ci intorta in varie stradelle secondarie della piccola città, ma due accidenti ed un soft reset al palmare rimettono tutte le cose a posto. Due o tre curve a destra, un paio a sinistra, una rotonda e arriviamo quasi davanti alla vetrina dell’altra fumetteria. “Al Fumetto 3”. 3? Perché 3? Boh! Davanti a questa nuova vetrina ci attende tuttavia un nuovo sussulto. Anche qui i locali sono sgombri ed apparentemente abbandonati. Delusione. Ed oltre al danno la beffa: un grande cartoncino bristol riporta la scritta “dov’è finita la fumetteria?” MAVVAFF…!! Fortunatamente una lettura più approfondita di quel messaggio rivela che la fumetteria si è da poco trasferita a due passi da lì. Complice un ragazzo autoctono del luogo con il nostro stesso obiettivo, non abbiamo problemi a trovare la nuova direzione da percorrere e la nuova base ove si trova stanziata la fumetteria. Entriamo con tutto il nostro orgoglio di navigati cacciamanga e ci precipitiamo verso gli scaffali dei tesori. Il locale è abbastanza ampio e piuttosto regolare. Nella parte di sinistra della stanza scaffali la cui altezza raggiunge solo la metà dell’ambiente conservano un vasto esercito di manghetti, sulla sinistra mobili analoghi ai precedenti custodiscono le varie truppe di Warhammer. Al centro della stanza due grandi tavoli sono adibiti all’esposizione rinfusa dei nuovi titoli manga in uscita e alla messa in pratica delle grandi campagne guerrafondaie dei giochi di miniature. Per il resto, la stanza è del tutto spoglia, ordinata, moderna, ma fin troppo essenziale. Anche qui c’è molta gente, e diversi individui si accalcano in un altro piccolo stanzino confinante, probabilmente impegnati nell’ennesimo torneo di carte della giornata. Ma noi non abbiamo perso tempo e siamo già con le mani a frugare tra gli scaffali. Gli albi sono tutti in ottime condizioni, ordinati ed impilati con precisione maniacale. Qua e là emerge qualche volumetto con una solida bustina in plastica posta a protezione del cimelio custodito. Guarda caso sono tutti albi esauriti: “Cattivo segnale, qui parte l’esborso impegnativo, questo non lo facciamo fesso”. Detto fatto, ancora un po’ di scartabellio e le mie mani incrociano una serie quasi completa di “Cortili del Cuore”. Requiem dei Cyborg, squillo di trombe! Afferro con bramosia il numero 6 ed il numero 11 per poi accorgermi che manca il numero 2, l’ultimo per concludere la mia serie e proprio il primo che avrei voluto trovare per andare avanti un altro po’ nella lettura. E va bene, questo mi spingerà ad organizzare una nuova caccia al manghetto. Gli albetti sono in condizioni perfette e questo giustifica in parte la sonora spesa di ben 5 euro per ciascuno dei due numeri che sono in procinto di acquistare. C’è anche altro materiale interessante, tipo una completa di “Paradise Kiss”, ma la vista del prezzo del primo numero mi fa desistere: 13 euro sono un vero furto e stavolta non c’è stato di conservazione che tenga! Anche il mio collega fa un sonoro passo in avanti nella sua ricerca: trova tutti gli ultimi numeri di “Ushio e Tora” che gli mancano tranne -e doveva essere destino, per non dire una mia iettatura- il numero 20, anche nel suo caso il più basso di cui avesse bisogno per proseguire nella lettura. Oh, bé, questo significa solo che anche lui non si tirerà mai indietro ad una nuova caccia manga, tantopiù che parlando con il cassiere e con l’autoctono precedentemente conosciuto, comprendiamo finalmente la ragione per cui questo negozio porti il nome “Al Fumetto 3”: pare infatti che la fumetteria in cui ci troviamo sia la terza filiale di una catena di tre negozi sparsi per la pianura circostante. “Al Fumetto” filiale 1, in particolar modo, sembra risiedere ad Empoli. Strano che l’indirizzo di quest’ultima non fosse riportato nella nostra lista! In effetti, più e più volte nel corso della pausa caffè ci era sembrato sospetto che nella ridente Empoli non potesse esserci una fumetteria ove fermarci per un’ultima tappa lungo la strada del ritorno. Guardiamo l’orologio e, ahinoi, ci rendiamo conto che è comunque troppo tardi e che anche volendo inserire questa sosta dell’ultimo minuto nelle pergamene, non faremmo in tempo.
Ore 18,50. Paghiamo i nostri acquisiti e chiediamo di fornirci l’indirizzo della fumetteria di Empoli per una futura incursione. Benché gentile e disponibile il commesso sembra non conoscerlo, comunque ci lascia un numero di telefono per informarci di persona. Tra una chiacchiera e l’altra emerge il fatto che siamo di Firenze ed in effetti ci guardano con ammirazione, anche se nel tono della loro voce emerge un’ombra di canzonatura. “Sciocchi mortali”. Porgiamo i nostri cordiali saluti e ci incamminiamo nuovamente verso la moto. E’ sufficientemente tardi se consideriamo che avremmo dovuto fare rientro a casa verso metà pomeriggio. Anche il tempo sembra peggiorare e qualche leggera goccia di pioggia ci ha già investito. Fortunatamente il tutto non si risolverà mai in un vero e proprio acquazzone. Mentre io sto alfine acquisendo consapevolezza della mia stanchezza fisica, il mio autista, con la sua tempra d’acciaio, sta già prendendo accordi con amici vari per la cena e per il dopo cena. Personalmente, se sarò in grado di materializzare il mio progetto di scrivere un diario di viaggio semiserio della giornata, mi sentirò più che contento. Per concludere il viaggio in modo soft, sacrifichiamo alla nostra fatica la strada del rientro ed ancora una volta ci buttiamo sulla Fi-Pi-Li. Questa volta il ritmo è inferiore alla nostra precedente media perché l’asfalto è veramente dissestato in molteplici punti. In un’occasione ricordo di aver percepito il mio fondoschiena decollare (letteralmente) rispetto al piano della sella. Meno male che avevo saggiamente deciso di avvinghiarmi al pilota invece che affidarmi esclusivamente ai maniglioni posteriori. L’eventualità del decollo avrebbe sicuramente costretto ad una nuova e lunga deviazione a Pisa per il recupero del passeggero, causa ribaltamento ed ingresso nella mangosfera dello stesso.
La strada continua e in un paio di occasioni intercetto lo sguardo incuriosito di bambini che letteralmente si appiccicano al finestrino della macchina che abbiamo in sorpasso e ai quali sembriamo probabilmente venuti da un altro pianeta. A questo punto si prospettano due possibilità nel futuro di questi giovani individui: il blocco della crescita oppure una sfolgorante carriere motociclistica. Ovviamente il mio augurio è per la seconda alternativa…
Ancora pochi chilometri e siamo infine a Firenze. Ancor meno ed ecco che il cerchio si chiude: siamo nuovamente a casa mia. Scendo dalla moto piuttosto indolenzito e recupero i miei tre tesori. Il contachilometri rivela una cifra piuttosto significativa: 301 km. Ma niente può contrastare la mia convinzione che ne sia valsa la pena sotto tutti gli aspetti possibili ed immaginabili. Ringrazio il mio collega per la straordinaria giornata ed un sua frase mi fa comprendere che si è divertito non una virgola meno di quanto sia stato per me: “io Martedì mattina sarei libero, che ne diresti di fare un salto al BMW Motorrad?”. Si riferisce alla concessionaria BMW moto di Via di Novoli. Questo slancio si riaggancia ad una partentesi che io ho aperto a pranzo: “sai che nelle prossime due settimane io non farò altro che cercare un modo per comprare io stesso una moto?”. Lo sa, lo sa, ed il malefico si diverte anche a stuzzicarmi. Ma che razza di compagni di avventura… Ci salutiamo con il proposito di sentirci Lunedì per un giro. Già, e alla fine siamo passati da una non ben precisata visita al BMW Motorrad ad un giro per le molteplici concessionarie vicine. E dicono che chi si accontenta gode… perdenti!
Nel corso della sera di Sabato a me non rimane altro che rimirare i miei acquisti ed accendere il computer con l’intenzione di portare avanti il piccolo progetto di cui dovrei aver già fatto cenno. Quando arrivo a fine sono le tre di Domenica pomeriggio e penso: “quasi quasi i miei “Ushio e Tora li cestino tutti quanti”.

P.S.
CBR 600 F 4.700 euro… troppo
CBR 600 F 5.500 euro… troppo
FZ6 4.200 euro… troppo
FZ6 3.800 euro… troppo
SV 650 S 3.500 euro…
SV 650 S 2.500 euro…
Mmh…

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