Calla

Nel bene e nel male, io mi porto dietro tutto. Per molto, molto tempo.
Questa è una storia vissuta e quasi totalmente raccontata quattro anni fa.

<< Io e Lollo non usciamo molto spesso. Ma quando riusciamo a combinare è come gettare benzina sul fuoco.

Disteso di schiena sul letto, mi sveglio quasi di soprassalto guardando il soffitto (come se ci fosse qualcosa di interessante da vedere…).
Mi giro verso la sveglia: 8:53. Esattamente due minuti prima del buzzer.
Stacco la suoneria e mi vesto di corsa, ansioso di scoprire se la mia diagnosi è giusta. Il giorno prima ho sostituito alla moto i due pezzi che avevo rotto qualche altro giorno prima, nello specifico levetta del cambo, frizione e manopola del gas (in realtà quest’ultima non era propriamente rotta, ma lo stato di usura era tale da rendermi insopportabile la visione del pezzo). Un lavoro divertente e ben fatto, se non fosse che al termine del montaggio la moto non aveva più voluto saperne di partire. “Sarà ingolfata, proverò più tardi” avevo pensato. Avevo provato più tardi, ma il risultato non era cambiato; alla pressione dello starter silenzio assoluto. Fortunatamente la notte mi ha portato consiglio: la moto non è ingolfata, piuttosto, smanettando con il cambio, ho lasciato inserita la prima. E visto che tengo il cavalletto aperto anche con il centrale inserito, il sistema di sicurezza Suzuki stacca l’alimentazione per evitare di andarsene a giro con un pericoloso aratro portatile.
Prima ancora di mettere in bocca un morso della colazione, sto già provando ad inserire il folle e ad avviare il motore, cosa che prontamente avviene. “Eureka! Il mio giro in moto è salvo…”. A quel punto posso godermi un po’ di colazione in santa pace, senza correre il rischio che niente mi vada di traverso per il malumore.
Poco più tardi ho completato la procedura mattiniera di ristrutturazione individuale e la vestizione. Non mi resta che saltare in sella. Per la verità, mi si presenta qualche problemino nel tirare giù la moto dal cavalletto centrale, ma -e fortunatamente- ne ricavo solo qualche nuovo graffio sulla carena, vicino al punto che già dovrò far riprendere al carrozziere. Certo, alla sfortuna non c’è limite, ma si cerca di vedere tutto in chiave ottimista. Le moto, comunque, sanno porti davanti ad alcune sfide veramente dure in termini di sopportazione, decisamente non paragonabili a qualunque altra cosa: quando salgo in sella ed accendo, la moto non parte nuovamente. Prima di mettermi ad inveire e sbraitare come un adolescente isterico, scendo dalla sella, muovo due passi verso il salotto, mi siedo comodamente sulla poltrona ed inspiro profondamente. Dopo pochi secondi ho ripreso quel tanto di lucidità necessaria a capire che, questa volta, cambio e cavalletto non c’entrano: nella concitazione devo aver premuto l’interruttore dell’impianto elettrico. Ebbene, questa deve essere la mattina delle illuminazioni: pochi minuti dopo sto facendo benzina al distributore non molto lontano da casa mia. Al distributore c’è anche un anche un altro ragazzo con tuta in pelle e CBR 600 che evidentemente sta aspettando degli amici, intento com’è a guardarsi intorno. Per dimostrargli la mia solidarietà lo saluto con un cordiale “Buongiorno” e riprendo la strada pensando “Se tanto mi da tanto…”.
Non ho idea di quanto mi verrà dato.
Prima di arrivare a destinazione, il destino mi riserva tuttavia un’altra simpatica avventura. Mentre sto aspettando il verde ad un semaforo, passa in senso contrario un altro CBR (Ma sono io che vedo CBR ovunque o ne hanno venduti davvero uno scatafascio?) e quando il suo pilota mi scorge inizia a sbracciarsi nella mia direzione. “Accidenti come sono socievoli questi motociclisti!” ed anche io rispondo entusiasticamente con un gesto del braccio. Mentre seguo nel retrovisore il CBR, vedo che il conducente accosta pochi metri più avanti e fa inversione di marcia, fino a presentarsi al mio fianco in fila al semaforo. “Oh, ciao, allora come stai?” mi chiede in un crescendo di entusiasmo. Cerco di capire attraverso quel poco che vedo dal casco se sia una persona che conosco, magari un vecchio amico che non vedo da ere, ma anche spingendo la lancetta molto indietro nel tempo non riesco ad avere nessuna illuminazione. Leggendo l’indecisione nei miei occhi il CBeRrista prende di nuovo l’iniziativa: “Ma tu non sei il Balleresi'”. “Ehm… no” faccio io. “Ah, scusa, scusa, ti avevo scambiato con il Balleresi, sei proprio identico…”.
“Ehi, fico, ho un clone da qualche parte” penso io, mentre il CBR ha già invertito la marcia per la seconda volta e ripreso la sua strada.
Non me ne erano mai capitate così tante in una mattina, anche questa la devo proprio raccontare… Dieci minuti più tardi, infatti, sono lì con lo Lollo che ce la stiamo appunto ridendo. Dopo un po’ di aggiornamenti sulle reciproche condizioni esistenziali, il discorso si fa inevitabilmente serio. La vita? La morte? L’universo? No. Va bene prendere il passo della Calla, ma poi da dove torniamo, visto che le strade segnate in quei dintorni fanno tutte Ovest-Est e nessuna Sud-Nord?
Ci stiamo ricollegando alla conversazione telefonica avuta il giorno prima per fissare il rendez-vous. In tale sede sono volate affermazioni ancora una volta piuttosto sibilline, che riferiscono di un passaggio sulla Consuma, di un prolungamento attraverso il passo della Calla, di una correzione di strada verso Nord e di una chiusura dell’anello attraverso il Muraglione. Dalle cartine in nostro possesso, pare tuttavia che la correzione verso Nord non sia così agevole.
Ma questi dettagli non sono mai stati un problema nè per me nè per il compagno di viaggio. Le pianificazioni di un itinerario sono ben misera cosa davanti al divertimento di andare completamente alla ventura, sono solo un foglio di carta buono per essere stracciato o poco più: quando Lollo porta fuori dal garage la grossa BMW e ci incamminiamo verso Pontassieve, il nostro obiettivo a lungo termine non è quello di tornare a casa, ma solo quello di divertire ogni singola cellula del nostro corpo lungo i tornanti del passo della Calla, a 100 Km di distanza da Firenze. Tutto il resto vada come deve andare, sono solo dettagli insignificanti.

Come per ogni Sabato mattina che si rispetti, sulle strade c’è traffico. Uscire da Firenze con la moto che scalda come una stufa è una sofferenza battuta solo dal fatto di dover sfrizionare per procedere tra le auto in coda ad ogni metro. Fortunatamente, all’imbocco della Via Aretina la situazione si scioglie parzialmente e la marcia si fa un po’ più regolare, anche se siamo comunque molto al di sotto del ritmo da passeggio consono a noi due passisti. Anche in questo caso, si tratta di sopportare e resistere, proiettandosi al passo che ci attende, prima ancora con la fantasia che con la moto stessa. A metà strada, lungo questa tratta, inizio ad avere qualche problema con lo specchietto sinistro. Avendolo maneggiato non poco nelle precedenti riparazioni, pare essersi decisamente allentato. Maledizione maledizione maledizione maledizione. Quello specchietto, tuttavia, non ha fatto i conti con la mia inventiva: non ho una brugola con me, ma in certi casi un portachiavi può rivelarsi un utensile incredibilmente versatile.
Una volta scavallato Pontassieve e subito dopo San Francesco, i punti esperienza accumulati ci consentono il passaggio di livello: la Consuma ha inizio. Inutile dirlo, è un gran bel guidare fin dai primi metri: nel corso del primo tratto, l’asfalto si inerpica tra i campi, come accade molto spesso in Toscana, disegnando brevi rettilinei e numerose curve a medio raggio. Ci sono due piccole controindicazioni, tuttavia: gli autovelox ed il traffico. Benchè siamo piuttosto lontani da forme complesse di civiltà, la strada attraversa numerosi paesini che è molto prudente attraversare a velocità ridotta, sia per questioni inerenti la propria incolumità che per questioni inerenti l’incolumità dei propri punti patente. D’altro canto, nè io nè Lollo siamo mai stati degli smanettoni e non sarà qualche moderato gesto di civiltà e prudenza a toglierci il Divertimento. Noia ben più grande è una Golf bianca guidata da un individuo che pare ubriaco, il quale accelera, frena e si muove del tutto a caso. Risparmio a questa sede le sanguinarie torture che ho immaginato per il suddetto individuo alla guida, dico solo che certe cose, benchè le comprenda intellettivamente, faccio fatica a tollerarle sensibilmente. Auto, moto, bicicletta o triciclo, il mezzo non importa: quando percorri un certo tipo di strada, non possono contare solo il punto di partenza e di arrivo, conta invece la traiettoria che ogni ruota percorre, contano i comandi che tu impartisci a quella ruota, conta il divertimento che non puoi fare a meno di provare nell’azione di impartire ciascuno di quei singoli ordini.
Mentre rispolvero parola per parola questo mio motto esistenziale, i metri scorrono e la targa della Golf è sempre lì davanti a me. Il problema è la visuale: le pendenze della strada potrebbero benissimo nascondere l’arrivo in velocità di una Gallardo che cerca il divertimento che paventavo poche righe più in alto, solo, in senso di marcia contrario rispetto al mio. Ed io non ho la minima intenzione di interrompere il suo divertimento (ed infrangere la mia esistenza). Ancora una volta, pazienza. La soddisfazione finale si concretizza ad un passaggio a pendenza uniforme lungo il quale si può esser certi di non veder spuntare alcuna Gallardo fantasma nel giro di centinaia di metri. La visuale è tanto ampia che mi tolgo la piccola soddisfazione morale di fiancheggiare la Golf anche in curva. Quando finalmente la Golf è già un puntino bianco dietro di noi, arriviamo a Diacceto inoltrato, luogo dove sfornano un’ottima schiacciata ai funghi. Tra l’altro, la schiacciata di San Casciano è nata proprio come ripiego della schiacciata della Consuma…
Parcheggiata di lì a pochi metri incontriamo anche una X-bow, il supergiocattolo a quattro ruote di Ktm. Ha una targa austriaca ed osservandola mi chiedo se non mi sia imbattuto in uno dei tester ufficiali KTM, in giro per strade che possono certamente metterne alla prova le doti del mostriciattolo (240 cavalli per 800 Kg) e permetterne lo sviluppo. O forse, e più semplicemente, c’è qualcun altro che si sa divertire quanto me in termini di sole, asfalto e fantasia ed ha scelto di assecondare tale piacere con quattro ruote invece che con due.
Passo dopo passo, il paesaggio intorno a noi cambia: i campi lasciano spazio ad ampie zone boschive e la pendenza della strada aumenta gradualmente. Nemmeno in questa occasione il ritmo è dettato dal nostro passo, ma ancora una volta dal traffico di auto in transito che ci precede. Giunti in cima al passo accostiamo nel parcheggio in modo da permettere al mio compagno di viaggio di rispondere ad una telefonata. In quel momento siamo insieme ad una decina di altri motociclisti. Una volta ho preso un caffè alla baita che presiede il piazzale, ma non ne ho un ricordo particolarmente emozionante. Decisamente di altro impatto è invece il panorama che si gode dal recinto Sud-Est. La visuale è ampia e copre gran parte del Casentino, una specie di valle dei Re al centro della quale sorge un piccolo castello. Ho il desiderio di visitare anche lui prima o poi ma, quando mi trovo nelle sue vicinanze, la mia curiosità viene sempre sopraffatta dall’ingordigia di chilometri asfaltati. A seguito del passo, la Consuma si immerge nel pieno della valle e gli spazi si dilatano considerevolmente: la distanza tra curva e curva aumenta ed a bordo strada i terreni del tutto incolti non sono così infrequenti. Rispetto all’ultima volta che sono passato da queste parti la strada è cambiata in alcuni punti: sono state riasfaltate ed ampliate alcune curve, sia come carreggiata (bene) sia come raggio (male, ora sono quasi noiose). Forse la strada è cambiata anche qualcosa più di quanto immagini: dopo una delle mille curve, mi trovo davanti ad un piccolo incrocio, la cui uscita destra porta direttamente al piazzale del castelletto che poco prima rimiravo sul passo. Il castelletto è li davanti a me, a poche centinaia di metri. E’ strano che non lo abbia mai visto così vicino fino ad ora! Tutto ciò si traduce in un’ottima occasione per chiudere una nuova finestra sui propri desideri di fare turismo, ma c’è un piccolo inconveniente: la stradina sulla destra è interamente sterrata, e dopo quello che è successo dieci giorni fa, non sono così entusiasta di mettere le gomme della moto su fondi sdrucciolevoli. Pazienza, sarà per un’altra volta: ora che so quanto sia facile da raggiungere, questa volta non mi sfuggirà. Davvero.
Oltrepassato il castello, ci fermiamo ad un semaforo provvisorio di lavori in corso. Quando scatta il verde, la fila di auto si muove pigramente davanti a noi galletti, che rispondiamo con un sonoro sbuffo alla scarsa verve sportiva dei conducenti. Fortunatamente un rettilineo poco più avanti ci permette di sopravanzare in tutta sicurezza, e quasi per intero, la fila di vetture. Quasi, per intero. Una SLK argentata ci precede nell’opera di sorpasso e, pur di sopravanzare tutte le auto in colonna, rimane nella corsia contraria fino all’ultimo metro prima della curva: se in quel momento arrivasse la Gallardo fantasma punitrice degli scellerati si porterebbe l’SLK all’altro mondo in un istante. Si vede però che la Gallardo Fantasma è già impegnata a punire qualcun’altro: dopo pochi istanti la Mercedes sparisce dalla nostra visuale con il suo ritmo forsennato, salvo poi ricomparire pochi metri più avanti, in sosta sul ciglio della strada. “Tanta fretta per fermarsi qui nel mezzo al nulla?” mi chiedo mentre la sopravanziamo. A quel punto, davanti a noi, non c’è più alcuna traccia di veicolo a motore ed io ed il mio collega iniziamo finalmente a goderci la strada, il saliscendi, le serpentine e le sporadiche curve. Ma la spensieratezza dura poco: rispunta improvvisamente dai nostri specchietti e nei nostri specchietti si trasforma da un puntino ad una grossa macchia grigia. Con il nostro ritmo da passeggio riesce tranquillamente a starci dietro, ed io la terrei volentieri incollata dietro alla mia targa, ma andare a cercarsi dei guai è cosa inutile ed infruttuosa, tanto più che rovinerei il Divertimento pure al conducente della Mercedes. In parole povere, smetterei di pensare alla mia guida, trascurando la vera ragione per la quale in quel momento mi trovo lungo quella strada, e sarebbe ben poco sensato. Fortunatamente la situazione si risolve da sola pochi metri a seguire: al bivio per Pratovecchio la SLK tira dritta, mentre noi ci incamminiamo verso Stia. A mai più rivederci.
Lungo la salita sull’ultima collina prima di Stia mi torna in mente il test drive dell’Astra, che portammo fin qui con la seria intenzione di maltrattare a fondo. Io stesso presi il volante della media Opel in questo tratto e non nascondo una ragguardevole nota di simpatia se ripenso a… ok, niente. Parliamo di moto. Da questo punto in poi, ogni metro è per me una specie di tuffo nel passato. Anche se ho visitato il paese di Stia ben poche volte (due?) la mia memoria fotografica continua a riportarmi davanti agli occhi aneddoti, sensazioni ed immagini delle esperienze vissute nei dintorni. Entrando in paese, accosto sulla destra nel parcheggio davanti alla Banca. Memore del minimarket dove ‘quella volta’ facemmo provviste, suggerisco a Lollo l’idea di fermarci a comprare qualcosa da mangiare. Non dico di consumare il pasto necessariamente nel mezzo ad un ben poco romantico parcheggio, ma di garantirci, ora che ne abbiamo l’occasione, il minimo indispensabile per non rischiare la morte per mancanza di cibo. Tale prudenza, tuttavia, non ci si addice per niente: “Credo che anche sul Passo troveremo un punto dove fermarci per un panino” suggerisce Lollo.
Ed io: “hai tutte le ragioni del mondo, andiamo!”. Abbandonato il parcheggio, passiamo davanti al distributore (fatto gasolio all’Astra, quella volta), davanti ad Ottavino (accompagnato Fede a fare una diagnosi alla macchina, quella volta), ed imbocchiamo la strada est, passando davanti alla casa di Fede (giocato a pallone tutto il pomeriggio ed inventato la ‘cariola infernale’, quella volta, mangiato un pranzo fino a scoppiare, quell’altra volta). Infine, seguendo le indicazioni di un vecchio cartello, mettiamo finalmente le ruote sulla Calla. Ed il bello diventa il massimo.
Sono già stato anche sulla Calla in passato, ma le circostanze erano completamente diverse. Una volta ero passeggero dell’Astra e venni strapazzato come un ovetto dallo stile aggressivo ed irruento della guida di Fedone. Un’altra volta andammo a prendere l’acqua alla fonte e, mentre le taniche si riempivano, rimanemmo lunghi minuti a guardare le supersport passare in piega oppure, lo ricordo chiaramente, le supermotard svirgolare con il piede completamente sporto. Forse eravamo tutti un po’ invidiosi allora, quel che è certo è che lo spettacolo poteva dirsi solo infinitamente gratificante. Ma il tempo del vorrei esserci anche io è finito: questa volta ‘io ci sono, lì’, e metro dopo metro ne assaporo sempre di più il dolce piacere dell’esperienza in prima persona. La strada è fantastica: è un pifpaf continuo, non ci sono rettilinei, solo curve. E’ la traccia sul terreno di un dito che scrive un arzigogolato nome fatto di fronzoli e sinuosità. E’ una pista per le biglie o, per meglio dire, per bob. Non c’è nemmeno bisogno di frenare, il ritmo imposto dalle curve è tanto serrato che la velocità deve mantenersi su livelli modesti per non degenerare in un reale pericolo. Il freno motore e la pendenza fanno tutto il resto, senza nemmeno portarti a pensare che esistano cose chiamata freni. Si sta in pratica realizzando la condizione migliore in assoluto per permettere di focalizzare fino all’ultimo pensiero sullo stile di guida: solo in questo frangente, dove niente e nessuno arrivano a distrarti è possibile svuotare la mente di ogni preoccupazione e pensare solo a dove vuoi mettere le ruote e a quanto le vuoi mettere giù… L’unico accorgimento da considerare in questo tratto interamente boschivo è quello di non arrivare troppo lunghi in uscita o in ingresso curva, con le ruote sul ciglio della strada, perchè queste ultime potrebbero sfiorare foglie e legni umidi e decidere di abbandonarti ai frutti della foresta. Il tunnel tra gli alberi dentro al quale ci siamo inoltrati ci sovrasta per una quindicina di chilometri e nel tratto incontriamo solo altri motociclisti scendono in senso contrario (compreso una R1 decisamente larga in uscita e tre Hypermotard gemelline in fila indiana). Per il resto, la corsia è tutta per noi: cosa avremmo potuto volere di più?
Quando raggiungiamo la cima del passo, troviamo un bel piazzale in parte sterrato ed in parte asfaltato. Decido di accostare sulla destra e di parcheggiare, e per condividere a parole la magnificenza del tratto appena affronato con il mio compagno di viaggio, e per vedere se effettivamente sia reperibile qualcosa da mangiare. In lontananza scorgiamo una piccola baita e dopo poche parole compiaciute sulla salita, cerchiamo un punto più vicino all’edificio ove lasciare le moto. Sfortunatamente, facciamo dietro front dopo pochi metri perchè dalla baita si dipartono due strade, ma nessuna delle due offre un punto soddisfacente ove parcheggiare. Una volta accantonate le moto alla bene e meglio, ci togliamo definitivamente i caschi ed andiamo ad informarci se quello a vista sia effettivamente un luogo di ristorazione ed, in tal caso, se sia possibile consumare un semplice panino (guidare con un’amatriciana sullo stomaco?!?! Ma scherziamo!). Benchè l’attività sia a tutti gli effetti un ristorate, il ragazzo ci conferma che è possibile consumare anche qualcosa di leggero, non necessariamente al peperoncino senegalese con n’duja guatemalteca. “Benissimo, noi ci sistemiamo qui” rispondiamo cortesemente, dopo aver formulato un semplice ordine letteralmente a base di pane e vino. Ci accomodiamo ad un tavolo fuori, nella speranza di godere di un po’ d’aria e della vista sull’intero piazzale. Quest’ultimo, nel corso del nostro pranzo, si popola sempre più. Io e Lollo siamo stati abbastanza prematuri, nel senso che nemmeno da quelle parti le 12,30 si intendono orario di pranzo, a quanto pare. Nel giro di quaranta minuti, tuttavia, il piazzale si riempie sempre più di moto ed un numero sempre maggiore di persone fa tappa al ristorante dove siamo anche noi. La grande varietà e diversificazione degli individui ci pone sotto gli occhi anche un paio di casi: una Ninja ed una Hornet che una volta in cima al passo si affiancano in mezzo alla strada a parlare tranquillamente, un KTM supermotard che riparte in piena impennata, ed una passeggiata di persone a cavallo (equini) che sfila la parata dei motociclisti parcheggiati guardandola dall’alto in basso. (Personalmente non sono mai salito a cavallo. Vorrei farlo almeno una volta per sapere cosa si prova, ma conoscendomi non credo che l’esperienza saprebbe entusiasmarmi all’inverosimile. Quando si va?).
Nel corso della nostra schiacciata, la proprietaria scatta al piazzale ed a noi due alcune foto, dicendo che vuole fare una bacheca. Trovo che sia un’idea molto carina, meno il fatto che in un ritratto ci sia io con la schiacciata in mano e le guance gonfie che guardo sorpreso l’obbiettivo. Anche il signor proprietario si dimostra una sorpresa: quando sente che Lollo mi parla con entusiasmo di katane si inserisce nella conversazione. Da lì a poco scopriremo che è stato un assiduo frequentatore del dojo di aikido di Firenze con il quale lo stesso Lollo ha avuto stretti rapporti. Il mondo è veramente piccolo.
Dopo il pasto ci godiamo cinque ultimi minuti di immobilità, ma si tratta solo di riassettare il fisico, non i propri pensieri: entrambi non vediamo l’ora di rimetterci in sella. Siamo i primi ad abbandonare il parcheggio e l’idea di lasciarci indietro un bel po’ di traffico non ci dispiace affatto. Scavallato il passo, la strada torna esattamente come l’abbiamo lasciata: del tutto in ombra, fresca, e tutta curve. Non sono passati che pochi metri quando sulla sinistra compare tuttavia un nuovo segno di vita: un chioschetto in mezzo al nulla è a sua volta preso d’assalto da un nugulo di motociclisti i cui veicoli sono sparsi per decine di metri lungo il ciglio della strada: devono servire cose davvero buone a quel barroccio se ha tutto questo successo! Ma sarà per la prossima volta, io e Lollo scalpitiamo solamente per macinare un altro po’ di km d’asfalto. Il tunnel nella foresta finisce presto, ma nel migliore dei modi: gli alberi lasciano posto ad un passaggio brullo, aspro e roccioso. I chilometri successivi si dipanano infatti lungo lo strapiombo dell’Appennino e poco oltre il guard rail c’è il vuoto, il dirupo. Il paesaggio è impressionante, la visuale si perde per spazi e volumi apparentemente infiniti. Se avessi uno zaino dietro con me, parcheggerei la moto e mi lancerei con il paracadute per godere appieno del senso di libertà totale di questo paradiso, poi tornerei su a piedi, riprenderei la moto e ricomincerei a godermi le curve. La Suzuki e la grossa BMW sembrano due formiche se confrontate con l’imponente maestosità di tutto quanto ci sta attorno, ma la mancanza di riferimenti sicuri e conosciuti è solo un’ulteriore emozione da vivere. Benchè possa dirsi una vera e propria sequenza di tornanti, le curve non sono strettissime, quindi le mie gomme riescono a lavorare entro limiti del tutto accettabili. Solo l’asfalto non è perfetto, quindi in alcuni tratti è consigliato dosare accuratamente la prudenza. Per il resto, la strada è ancora una volta tutta per noi. Sento oramai che la confidenza con la mia Suzuki è arrivata ad ottimi livelli: la Calla, oltre ad essere stata un vero spasso, ha svolto un ruolo egregio di palestra ambulante. Curva dopo curva, Tetsuya cerca non solo di impostare la piega, ma anche di valorizzarla abbracciando il serbatoio quanto più gli sia possibile. Con il giusto approccio, senza voler strafare, senza chiedere tutto e subito, si può imparare qualunque cosa attinente la guida della moto semplicemente andando in moto: è questo ciò che il tratto di strada mi insegna. Si tratta solo di percorrerlo dieci, cento, mille volte.
A quanto pare, comunque, non sono l’unico ad aver compreso questa preziosa lezione. Prima che giungiamo a valle, una vecchia Fazer con tanto di bauletto ci supera con disinvoltura ad un passo di tutto rispetto, condito con un’impostazione delle traiettorie della quale rimango quantomeno affascinato (“Ritmo a parte, ma io giro così?” Mi chiedo… “Devo trovare il modo di vedermi da fuori!” mi dico). Metro dopo metro, la pendenza diminuisce sempre più, fino a scomparire alle nostre spalle insieme ai monti. La strada rimane abbastanza guidabile, ma il tratto tutto curve è anch’esso solo un ricordo. Ricompaiono anche le macchine, si ricominciano a vedere delle case lungo la provinciale e persino alcuni cartelli stradali. Tali cartelli ci ricordano improvvisamente non solo che non abbiamo la minima idea di dove siamo, ma che non abbiamo nemmeno la minima idea di come tornare a Firenze. Guardo il contakm: 90km percorsi da stamani. “Eh! Facciamo un saltino a Reggio Calabria, Lollo?” ridacchio tra me e me. Nella corsia contraria compare in quel mentre una Hornet ed il pilota ci rivolge agitando le mani un eclatante gesto, facendoci segno di rallentare. “Ma questo ragazzo cosa fa nella vita? Gira tutta la Toscana a segnalare ai motociclisti la presenza di pattuglie?”. Il mio momento di euforia continua, ma penso che sia una coincidenza troppo grande per essere vera. Dopo aver portato la velocità su ritmi cittadini, io e Lollo ci chiediamo se quello non sia stato solo uno scherzo: i km passano, ma di pattuglie nemmeno l’ombra. Tuttavia la nostra si rivela solo malafede: dopo un incrocio, all’immancabile ombra di un albero, un’immancabile Punto blu è appostata a bordo strada. Quando passiamo pian pianino davanti alla stessa, un brivido mi percorre la schiena: nello specchietto vedo infatti Lollo che si ferma davanti al poliziotto. “Ma che fa?!?! Si butta nelle fauci del lupo!?!? Il troppo divertimento gli ha dato alla testa!!”. Ancora malafede: altro che dissennatezza, il mio compagno di viaggio ha avuto la più che saggia idea di fermarsi a chiedere indicazioni in merito a quale sia la strada da prendere per tornare a Firenze. >>

Magari sul più bello, ma qui si interrompe il manoscritto originale: non riuscii a finire di scriverlo nei giorni a seguire lo sfarzoso giro. Purtroppo è passato troppo tempo perchè io possa completare il racconto dell’avventura con sufficiente ricchezza di dettagli, ma ci sono alcuni punti che ho ancora, del tutto ed assolutamente fermi.

Lollo che impara a fare piccole pieghe con la grossa BMW, sporgendo per la prima volta il sedere dalla sella.

Il caldo della strada del rientro, che percorremmo esattamente allo zenith.

Le curve, le mille curve a ritmo serrato di quel magico tratto di ricongiungimento con il Muraglione.

Ed il mio entusiasmo nel percorrere quella strada, che queste parole di quattro anni fa descrivono alla perfezione.
“E’ questo il Paradiso. Un milione di cose in vita mia potranno donarmi la felicità, ma il divertimento, l’emozione concreta, il brivido di piacere, è qui, ora, adesso”.

Non vedo l’ora di riaprire le porte dell’Eden insieme a Constance.

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