“Gunbuster”

Una volta Hideaki Anno era il mio idolo supremo, artisticamente parlando.
Poi l’ho capito come persona, prima che come artista.
Ma questo non cambia la mia passione per le sue opere.

Correva l’anno 1988, Gainax era stato fondato da poco e non godeva di grade popolarità. Anno allora era poco più che un ragazzo, ma anche un vero otaku genialoide, dotato cioè di fervida immaginazione e di grandi doti artistiche. E quando gli venne affidata la regia di Gunbuster fu in grado di dimostrare tutto ciò ed anche molto altro.

Le credenziali:
Gunbuster è una serie che si snoda in sei OAV di 20 minuti circa, indiscutibilmente di genere fantascientifico, in grado di miscelare però importanti elementi di commedia -alle volte sentimentali, alle volte umoristici- con l’obiettivo di seguire e descrivere la crescita psicologica della protagonista. Sembra di parlare di Evangelion, ed in effetti i punti di contatto non mancano. A differenziare Gunbuster è principalmente l’ambientazione, quasi totalmente spaziale, e la portata dello scontro con l’antagonista, con scenario non il solo Sistema Solare, ma l’intera Via Lattea.

Dai più remoti angoli della galassia provengono infatti i cosiddetti “mostri spaziali”, delle creature aliene di origini sconosciute in grado di sopravvivere e muoversi liberamente nell’etere. La sopravvivenza e moltiplicazione di questi ultimi è legata unicamente alla necessità di trovare un pianeta dal quale succhiare energie vitali. In pratica si tratta di enormi parassiti, con la forma di ciclopici cavolfiori o voraci cetrioloni orbitanti.
Da buoni cetrioli sono privi di intelligenza, ma dotati di uno sviluppatissimo senso animalesco di sopravvivenza e di una incredibile capacità evolutiva. Dei nemici temibili, che possono contare anche sul fattore numero: la popolazione di questi esseri è stimata in migliaia di miliardi di individui (!).
Gli antagonisti di Gunbuster (peraltro comuni a Diebuster) sono il primo elemento di rottura della allora produzione contemporanea. Questi carciofi extraterrestri, benchè temibili, non hanno capacità di comunicazione nè una coscienza e non rappresentano quindi un nemico contro il quale la mediazione verbale sia possibile. Il nemico non ha motivazioni nella sua opera di distruzione e conquista, se non il suo indirizzo fisiologico di sopravvivenza. Non sono buoni o cattivi, non rappresentano la giustizia o la malvagità. Non hanno ideali né si scontrano per essi. Il conflitto di fondo di Gunbuster, pertanto, non è riconducibile ai termini di una sfida o di una competizione intellettuale o sociale, ma solamente a quelli di uno conflitto sul piano puramente fisico. Ciò significa solo che la guerra, inevitabile, deve essere combattuta nel modo più antico possibile: fare fuoco con le proprie armi e sperare (nel tentativo) che esse facciano il maggior numero possibile di morti. L’unico modo per vincere è la totale annichilazione del nemico. Non c’è resa che tenga, vittoria o morte. Le chiacchiere filosofiche, buoniste o politicamente corrette sono lasciate altrove: in Gunbuster chi vince ha diritto di vivere, chi perde brucia, e dimostra così la sua inattitudine alla sopravvivenza, piegato dalla legge della selezione naturale.
Questo concetto riporta Gunbster sulla linea di trama di un banale videogioco spara spara più che sulla sofisticata linea dello space-drama (tipo Baldios) tracciata da Tomino qualche anno prima, ma è bene effettuare due considerazioni a riguardo.

In primo luogo, la sfera dei sentimenti umani non è costruita attraverso l’odio delle due parti in gioco (come in Vultus ad esempio: i due fratelli si devono uccidere anche se sono fratelli), ma è presente in dose cospicua, sapientemente gestita nei rapporti interpersonali degli individui facenti parte della fazione terrestre. E la componente umana è un motore dal peso nient’affato trascurabile nell’evolversi della vicenda: a fare di Noriko un degno pilota del Gunbuster saranno infatti il dolore della scomparsa del padre, della perdita di numerosi amici, l’odio per le proprie debolezze, il desiderio di migliorarsi e la volontà di non lasciarsi sopraffare nelle sfide con gli altri o con se stessi. A fare della “signorina” un pilota completo saranno allo stesso modo il desiderio di difendere il proprio amore, il desiderio di voler vivere fino in fondo la propria vita e la volontà di riuscire a fare sempre la cosa giusta. Non manca niente per parlare di formazione psicologica dei personaggi.

In secondo luogo, il nemico, dichiarato da subito imbattibile, è necessario per portare ad un nuovo grado di esaltazione la figura dell’eroe e l’elemento “distruzione totale” ad un grado di sfida estremo. Ogni volta che il Gunbuster esce dal proprio hangar, le sue enormi capacità belliche pongono in ginocchio la minaccia aliena, sconfiggendola proprio sul terreno di battaglia ad esso più congeniale, quello cioè della forza fisica. Nel solo Gunbuster è infatti concentrata tutta la tecnologia, la forza, la speranza ed il sacrifico che gli uomini sanno profondere per la propria sopravvivenza. Un potenziale enorme, racchiuso però in una macchina di ferro alta 250 metri, immersa in combattimenti in cui solo gli anni luce hanno significato come unità di misura delle distanze, e posta a combattere miliardi di nemici letteralmente a mani nude. Anche se il Gunbuster è il più grande robottone mai pensato fino all’inizio degli anni ’90, la minaccia nemica in campo è la più sterminata mai concepita in un anime e, pertanto, il divario di forze dispiegato tra “buoni e cattivi” è uno dei più grandi mai affrontati. Eppure, non si gioca tutto sul piano numerico: la vera genialità di Hideaki Anno sta nel far emergere con inaudita trasparenza quanto lo scontro, il conflitto e la guerra siano una vera e propria sfida, da combattere con ogni mezzo e con determinazione assoluta, fino all’estremo della disperazione. Le possibilità di avere la meglio contro un nemico la cui forza appare sostanzialmente incommensurabile sono, e restano dall’inizio alla fine, infinitesime.
Per far capire questo meccanismo, prendiamo Dragon Ball Z. Dopo lo scontro con Vegeta, questo manga non ha più senso. Basta un onda energetica e un pianeta esplode. I nemici successivi sono rappresentati come più forti dei precedenti solo in base al numero di pagine necessario a Goku per sconfiggerli. Lo script di Dragon Ball è totalmente incapace di rendere credibile il senso di minaccia trasmesso da nemici sempre più forti.
In Gunbuster è lo stile di Anno a fare la differenza (in pratica sto dicendo che Anno avrebbe saputo rendere fantastico pure Dragon Ball Z): arrivano nemici sempre più grossi, numerosi o potenti, ma non c’è nessun senzu a curare le ferite dei partecipanti allo scontro, e nessuna sfera del drago a resuscitare i morti. Quei mostri si possono sconfiggere solo previo pagamento di un prezzo che diventa sempre più alto e doloroso da saldare.
Ma lo stile di Anno non si limita al fuoriclasse nel valorizzare e rendere credibile un soggetto fondamentalmente semplice: Gunbuster ha una sua vera e propria caratterizzazione artistica. Ogni volta che il Gunbuster esce dal proprio hangar la regia, la fotografia, l’animazione, la colonna sonora, il mecha-design collaborano ad un perfetto mix al quale è affidata una solennità ed un esaltazione della scena tali da far vacillare qualunque imparzialità di giudizio.
L’enorme capacità di spettacolarizzazione di Anno in questo scenario di titanica distruzione cosmica può emergere con una maestosità e veemenza mai viste prima. (In pratica, Gunbuster non poteva che essere la sua opera di esordio, quella le cui idee ed i cui obiettivi sono stati cullati da chissà quanto tempo).
La firma di Anno ha inoltre un prezioso contributo nel rendere un enorme pregio artistico quello che dovrebbe essere un clamoroso difetto. L’ultima puntata di Gunbuster è quasi interamente in bianco e nero, nonché ricchissima di fermo immagine: come in Evangelion, avevano finito i soldi. Di complesse animazioni multiframe, tuttavia, non si sente la minima mancanza, perchè sarebbero servite solo a descrivere dettagliatamente scene della battaglia finale. Scene che in effetti possono anche essere sostituite da tre righe di testo, con le statistiche della devastante battaglia, come è stato poi fatto. A posteriori, ma si può dire che il bianco e nero sottolinea ancora di più l’effetto di non ritorno della battaglia, mentre per tutto il resto dell’anime il colore è stato ottimo per accompagnare i siparietti comici o le situazioni da commedia.
A proposito del colore e dell’animazione. Al giorno d’oggi la computer graphic è lo strumento imprescindibile per creare animazioni e sfumature di livello superiore. Gunbuster, benchè sia fatto in analogico dal primo all’ultimo frame, nullifica qualunque risultato qualitativo mai ottenuto, e con la Computer Graphic, e con il semplice rodovetro (forse solo i nuovi film di Eva, ovviamente sempre di Gainax, possono dirsi alla pari). Alcuni esempi di animazioni quantomeno magnifica e di perfetta fluidità dei movimenti sono l’aprirsi dei portelli, il movimento di una sterminata quantità di componenti meccanici e la spettacolare composizione del Gunbuster dalla formazione delle due Buster Machine. Anche la resa del colore è strabiliante: la gamma cromatica è vastissima e tende al brillante in un modo che stupisce anche con 15 anni di ritardo, e la si può ammirare in un’enorme quantità di riflessi (negli occhi, nel metallo, nell’acqua) e nella rappresentazione di raggi laser e scariche energetiche.
Infine, grandissima nota di merito va alla cura dei principi di fisica sui quali costruire lo script. La relatività del tempo e la fisica delle particelle non sono elementi che si trovano molto frequentemente negli anime e, soprattutto, non partecipano alla meccanica degli eventi come in questo caso. Se lo spettatore non è un docente di fisica quantistica e si perde qualcosa, può sempre integrare con le sequenze esplicative in super deforme: nulla è stato lasciato al caso.
Concludiamo con il doppiaggio, il quale è solo ed unicamente giapponese a causa di un probabile capriccio del geniale regista: Noriko, quando urla (molto spesso, peraltro) fa giacciare il sangue. In senso assolutamente positivo, ovviamente, come da aspettative per Hideaki Anno.

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